Grotte di Pertosa, scoperto «l'antro di Polifemo»: un villaggio di palafitte costruito 3.500 anni fa

Nuove indagini nel sito sotterraneo in provincia di Salerno svelano sorprendenti dati archeologici. La Soprintendenza: «Potrebbe essere la “casa” del Ciclope omerico»

Martedì 20 Febbraio 2024 di Laura Larcan
Grotte di Pertosa, scoperto «l'antro di Polifemo»: un villaggio di palafitte costruito 3.500 anni fa

Una grotta titanica, una popolazione indigena che viveva 3500 anni fa nell’oscurità di un villaggio di palafitte costruite su un fiume sotterraneo, e quei semi d’uva perfettamente conservati dopo millenni che raccontano di vini d’origine greca, amati e consumati in questo angolo di civiltà protostorica. Una serie di indizi chiave che regalano suggestioni forti, sulle tracce del mito omerico di Ulisse e del ciclope Polifemo, al complesso di Grotte di Pertosa-Auletta che si sviluppano nel ventre carsico dei Monti Alburni, in provincia di Salerno.

L’elemento acquatico qui è dominante, con i suoi strati fossilizzati di limo e fango che hanno intrappolato incredibilmente nel tempo un tesoro di storia, fatto di palificazioni in legno, ceramiche, strumenti in bronzo e metallo, e di vinaccioli di vitigni che rimandano all’Egeo e alle rotte dei navigatori micenei lungo il Mediterraneo. 

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IL MITO
«Un vasto sistema di case su palafitte costruite per un centinaio di metri all’interno di una grotta, quindi in un ambiente sotterraneo, riconducibili cronologicamente a 3500 anni fa, è una testimonianza unica in Europa», commenta Raffaella Bonaudo, alla guida della Soprintendenza statale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino. Un mistero che le ultime indagini archeo-speleologiche, condotte con la Fondazione Mida e il centro regionale di speleologia Enzo dei Medici, stanno provando a risolvere. Anche, idealmente, con l’Odissea di Omero sotto braccio. 

«Siamo nell’età del Bronzo medio - riflette Bonaudo - un’epopea che rinvia ai Re raccontati da Omero, ad un sistema di navigazione e di rotte lungo il Mediterraneo, di tappe di navigatori e luoghi evocati da Ulisse in tutto il suo viaggio. Quando ci siamo trovati di fronte al patrimonio spettacolare della grotta ci siamo detti: abbiamo trovato l’antro di Polifemo...». 

L’avventura drammatica con il capo dei ciclopi, Polifemo, è uno dei passaggi più celebri del capolavoro omerico. Ulisse, imprigionato nell’antro del gigante, gioca tutto d’astuzia: fa ubriacare il Ciclope con litri di vino, per accecare il suo unico occhio con un palo arroventato. La ricerca della mitica grotta, d’altronde, è un tema assai dibattuto. Dalla Sicilia, e via lungo le coste tirreniche. Ora, questo “portale” che si apre a 263 metri dal livello del mare su una parete di roccia a strapiombo, e che conduce ad un sistema di grotte scavate per tre chilometri dall’affluente sotterraneo del Tanagro, potrebbe offrire una soluzione. Tra gennaio e febbraio l’équipe di ricercatori ha condotto una prima indagine dai risultati sorprendenti. Un’impresa, condotta in condizioni eccezionali: l’unico momento dell’anno in cui il sistema della diga blocca l’afflusso dell’acqua e consente di svuotare in parte la pavimentazione. Le scoperte non sono mancate. Fino ad oggi, di questo gioiello speleologico intercettato nell’800, si pensava che conservasse solo alcune palafitte nella porzione più esterna. «Abbiamo potuto documentare ora una notevole espansione della struttura palafitticola oltre l’area di antegrotta, in particolare in ambienti completamente oscuri, illuminati solo con fuochi o lampade ad olio d’epoca», precisa la soprintendente. Il bello è che siamo di fronte a centinaia di pali conficcati in verticale nel terreno. Non altro che le fondamenta che isolavano le case dall’acqua. 

CEREALI E FRUTTA
Trovati, poi, depositi di resti vegetali di 3500 anni fa, che rappresentano, oggi, testimonianze tra le più antiche del Mediterraneo occidentale. E utensili in bronzo di splendida fattura. «Lo studio archeobotanico dei semi - racconta l’archeologa Simona Di Gregorio della Soprintendenza - ha portato al riconoscimento di diverse attività domestiche, tra le quali spicca la lavorazione dei cereali e la raccolta e il consumo di frutti, prevalentemente spontanei, come corniole, more, fichi e uva, forse utilizzati anche per la preparazione di bevande fermentate». 

La vera sorpresa sono stati i semi d’uva datati all’età del Bronzo medio (1450-1200 a.C.). Una lavoro certosino confluito nello studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, e condotto da un team di ricercatori italiani, francesi e britannici. «Ha fornito nuove informazioni sulle origini della viticoltura nel sud-Italia - continua Di Gregorio - dimostrando un uso precoce della vite in questo sito, introdotta dal Mediterraneo orientale e ibridata con vite selvatica locale». L’eccezionale stato di conservazione dei resti ha permesso di applicare sofisticati metodi d’analisi come la paleogenetica: «Abbiamo capito che le viti di queste grotte si avvicinano ai vitigni dell’area egeo-balcanica - commenta l’archeologo Lorenzo Mancini - Questo indica un’introduzione di viti in Italia dal Mediterraneo orientale tramite i navigatori micenei». 
 

Ultimo aggiornamento: 00:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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