Vaticano, la lotta contro gli abusi arranca, lo testimoniano casi emblematici in Africa e Polonia dove regna l'opacità

Di nuovo minata la credibilità della Chiesa

Martedì 27 Febbraio 2024 di Franca Giansoldati
Abusi, sconfortante bilancio nella Chiesa della “tolleranza zero”: due casi in Africa e in Polonia ne sono l'emblema

Se non è un fallimento, poco ci manca.

La rigorosa tolleranza zero verso gli abusi sessuali sembra non funzionare ovunque: non c'è, infatti, solo la gestione opaca e sconvolgente del caso di padre Marko Rupnik (il gesuita cacciato dai Gesuiti per abusi sessuali su diverse suore ma ancora sacerdote e mai punito dal Vaticano). A cinque anni dal famoso summit di tutti gli episcopati del mondo voluto dal Papa per dare una svolta definitiva ad un atteggiamento omertoso, teso a insabbiare e poco attento alle vittime, altri due casi emblematici sembrano fare capire quanto sia ancora lontana una mentalità nuova basata sulla responsabilità, la giustizia e la trasparenza contenuta nei principi di tanti documenti.

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Risuonano ancora le parole di Valentina Alazraki, la famosa giornalista messicana invitata al summit nel 2019 in Vaticano a parlare davanti a 114 conferenze episcopali: «Quante volte mi è toccato ascoltare che lo scandalo degli abusi è colpa della stampa, che è un complotto di certi mass media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere fine a questa istituzione. Noi abbiamo scelto da quale parte stare. Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole? Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici».

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Nel frattempo due casi singolari e importanti fanno capire che la mentalità del passato tesa a insabbiare, minimizzare e nascondere in tante zone prevale ancora. Il primo caso è accaduto in Europa (in Polonia), l'altro in Africa (Costa d'Avorio): una estensione geografica che offre conferma di un atteggiamento diffuso poco trasparente e rispettoso dell'opinione pubblica, delle vittime, minando la credibilità della Chiesa.

In Polonia sta facendo discutere il modo in cui l'arcivescovo Andrzej Dziega di Szczecin ha lasciato la diocesi, dando le dimissioni «per ragioni di salute». In una lettera ai sacerdoti della sua diocesi il 71enne prelato ha spiegato che la sua salute si era deteriorata al punto da costringerlo a fare un passo indietro: «Ecco perché mi sono reso conto in autunno che era arrivato il momento per me di dimettermi». La verità era però un'altra. Alcuni vescovi polacchi scandalizzati avevano espresso il proprio sconcerto. Il vescovo ausiliare Artur Wazny di Tarnow, per esempio, ha scritto su Facebook: «Sono senza parole. Un imbarazzo da un misto di rabbia, fastidio e vergogna». Sollecitata da diversi giornali la nunziatura di Varsavia si era limitata a spiegare che Dziega se ne era andato dopo una indagine interna in base al documento Vos estis lux mundi, il motu proprio del 2019 contenente le procedure da attuare in caso di abusi. Evidentemente erano emersi fallimenti nell'affrontare i casi di abusi sessuali verso bambini e giovani ma il messaggio tuttavia, è stato come al solito criptico, non esplicativo, senza dare ragioni. I giornali polacchi lo hanno bollato con la cosiddetta "mentalità Dziega" ancora evidente nelle azioni di molti vescovi e sacerdoti, secondo Nosowski. Dalla fine del 2020, le accuse di insabbiamenti contro i vescovi in Polonia sono state diverse. Nel 2021, il Vaticano ha imposto sanzioni disciplinari a più vescovi polacchi e la Chiesa ha dovuto pagare somme non indifferenti a una fondazione che sostiene i minori abusati. Ma tutto procede a rilento. Per esempio la vicenda di un prete polacco della diocesi di Szczecin-Cammin che negli anni '90 avrebbe abusato di quattro ragazzi di un orfanotrofio. Secondo l'accusa, la Chiesa lo sapeva dal 1995 ma non ha fatto nulla al riguardo e l'imputato è morto all'inizio del 2021 senza essere mai punito.

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Se in Europa le cose non funzionano ancora bene, nemmeno in Africa. Di questi giorni la notizia che il cardinale Jean Pierre Kutwa della Costa d'Avorio ha sospeso il fondatore di un gruppo laico dopo che questi ha ammesso di aver commesso abusi, estorsione di fondi e manipolazione psicologica di diversi adepti. Il cardinale dopo qualche tempo ha però reintegrato questo carismatico fondatore laico a seguito di tre anni di sospensione.

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«Con la presente revoco, qui e ora, la sospensione di tutte le attività intraprese contro questo figlio della Chiesa, il signor Do Oulaï Franklin Delaneaux, chiamato Abraham Marie Pio, fondatore dell'apostolato cattolico del Sacerdozio Reale"», ha dichiarato il cardinale di 78 anni in un decreto datato 9 febbraio, ma non reso pubblico fino al 22 febbraio che sta facendo il giro del mondo.

Nel decreto, il cardinale designa anche due sacerdoti per assistere il laico e offrirgli «guida al fine di preservare l'integrità della fede e della morale nell'esercizio del suo ministero». A chi ha chiesto al cardinale il perché di questo reintegro ha risposto serafico: «Ha riconosciuto e si è pentito dei fatti» aggiungendo che «si è assunto l'impegno di servire la Chiesa in futuro con più prudenza». 

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Ultimo aggiornamento: 10:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA