AI e neurotecnologia, Guido Scorza, del Garante per la privacy: «Il neurodato non sia merce di scambio»

L'avvocato: Si rischia la disintegrazione di tanti diritti, la via del processo alle intenzioni

Mercoledì 20 Settembre 2023 di Raffaele D''Ettorre
AI e neurotecnologia, Guido Scorza, del Garante per la privacy: «Il neurodato non sia merce di scambio»

C'è chi punterà tutto sugli auricolari, chi sulle cuffie wireless e chi su versioni più o meno sofisticate di sensori con EEG integrato.

Quale che sarà la forma, la direzione è chiara: il mercato tech vuole rendere tascabile la lettura del pensiero. Dal settore biomedico, le neurotecnologie adesso si stanno spostando verso il mercato dei consumatori, in parte grazie anche ai recenti progressi in campo AI che rendono più snella la decodifica dei segnali cerebrali. Una costellazione variegata di startup e aziende già promette di riuscire a decifrare in tempo reale il nostro ciclo sonno veglia (lo farà la prossima gamma di AirPods targati Apple), di monitorare il livello di attenzione dei dipendenti (auricolari MN8 di Emotiv) o di valutare la nostra risposta emotiva alle inserzioni pubblicitarie (cuffie Unicorn dell’austriaca G.Tec). La massificazione di questi algoritmi è alle porte di un mercato che già nel 2022 ha generato 12,8 miliardi di dollari. E porterà con sé una rivoluzione capace sì di creare orizzonti affascinanti per la ricerca biomedica ma anche di gettare più di un’ombra sui confini giuridici che tutelano la nostra privacy. Guido Scorza, avvocato e componente del Garante per la Privacy, si occupa di questi temi da anni.

E proprio al delicatissimo microcosmo dei “neurodiritti” ha dedicato il suo saggio “Neuroverso” (Mondadori, 2023), sottolineando così un’urgenza condivisa da buona parte degli addetti ai lavori: anche se l’orizzonte temporale non è ancora chiaro, il momento giusto per agire è adesso.

E il primo passo, spiega Scorza, sarà definire con esattezza le basi di questo fenomeno. «Per “neurodato” si intende il pensiero inespresso, quindi un pensiero in formazione che non ho ancora condiviso, o un’emozione che non ho ancora manifestato». La nostra parte più intima insomma, di cui spesso nemmeno siamo consapevoli. Una parte di noi che sul web fa già gola a molti.

«Oggi il valore dei social è dato dalla loro capacità di presentarsi agli inserzionisti con dati il più possibile accurati sulle abitudini dei consumatori. Ma questa profilazione è figlia di una deduzione. La lettura del pensiero permetterà di saltare la parte deduttiva e avere dati certi». Ma c’è di più, perché «tutti gli studi sul marketing ci dicono che gran parte delle scelte di consumo nascono da un processo emotivo, che di razionale ha ben poco». Un processo che i nuovi gadget, captando oltre al pensiero anche ogni nostra sfumatura biochimica, renderanno ancora più trasparente per le aziende. Dove prima ci limitavamo a scambiare le nostre abitudini digitali – cioè quante volte clicchiamo su un link, quali pubblicità guardiamo di più sul web, qual è la nostra bevanda preferita – senza adeguate tutele la merce del futuro saranno i nostri pensieri. Ma quando si raggiunge questa soglia, Scorza non ha dubbi: «Il neurodato non può e non deve essere oggetto di scambio. Se mai dovesse accadere, la condizione minima essenziale dovrà essere una trasparenza assoluta sul valore di quello a cui stiamo rinunciando rispetto a quello che stiamo acquistando». Questo futuro infatti porta con sé alcuni regali importanti, anzitutto in campo biomedico: lavorando sulle onde cerebrali si potrà restituire la parola ai pazienti “locked in” e perfino i sensi a chi li ha persi. Dalla decodifica cerebrale passa insomma la via del miracolo clinico. Ma la stessa via, senza adeguate tutele, rischia di condurci alla sorveglianza continua, al condizionamento mentale e alle coercizioni di chiunque saprà trarre fortuna dal crollo dell’ultimo bastione della nostra privacy. «Un governo con accesso diretto al pensiero dei cittadini potrebbe dividere su base scientifica i sostenitori dagli oppositori. Con questa tecnologia, la Primavera Araba non sarebbe mai esistita».

LE INCOGNITE

La lettura del pensiero consentirà a un datore di lavoro di avere il controllo totale dei suoi dipendenti, mentre in tribunale porterà alla «disintegrazione di tanti, troppi diritti, aprendo la via al processo alle intenzioni». Come ci prepariamo? «Non introdurrei nuovi diritti ma aumenterei la privacy potenziando quelli esistenti. Forse ne introdurrei uno che vieti la manipolazione diretta del pensiero. Non sono un grande fan delle sanzioni, specie nei modelli di business delle grandi aziende dove le multe risultano facilmente digeribili». Quel che è certo è che «servirà un enorme lavoro di sensibilizzazione per evitare che il dibattito rimanga confinato a livello accademico», e in qualche modo anche per tamponare la sottile inquietudine che accompagna l’idea della diffusione incontrollata di questa tecnologia: la paura cioè che quell’uscio non verrà forzato ma che saremo noi stessi a cederne spontaneamente la chiave. Magari a chi – come è stato a suo tempo per i social – saprà convincerci che i nostri pensieri, in fondo, non sono poi così importanti. 

Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 07:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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