Eventi estremi, il climatologo Mercalli: «Stanno diventando sempre più frequenti»

“Se non parliamo di queste cose, purtroppo abbiamo sempre meno possibilità”

Giovedì 28 Marzo 2024 di Alessandro Terradura
foto di Cristian Manieri

Il raggiungimento di temperature elevate di questi anni ha scatenato un dibattito a livello mondiale circa la sostenibilità a lungo termine del rapporto capitalismo natura, fondato esclusivamente sullo sfruttamento economico della terra, dell’acqua, dell’aria e degli esseri viventi.

L’utilizzo indiscriminato non è più una via percorribile, dal momento che si consumano risorse limitate.

È in atto uno scontro frontale fra studiosi, dati alla mano, e mondo produttivo.

Chi lancia allarmi, inascoltati, e chi a livello globale si preoccupa dell’economia del suo paese, o dei dividendi delle sue società.

Memorabili le manifestazioni, degli stessi abitanti, contro la chiusura dello stabilimento dell’ex ILVA di Taranto. Da un lato la salute, dall’altro il lavoro.

Una situazione clonata in diverse realtà, dallo sfruttamento intensivo e dal disboscamento delle foreste in Centro e Sud America, ai grattacieli di macellazione in Cina.

Sullo sfondo una situazione climatica che sta degenerando, solo in Italia l’alternanza alluvioni e siccità sta cambiando radicalmente il Paese, e ci è costata milioni di euro. E vite umane!

Il rapporto “Climate 2023” di Copernicus.eu, il programma di osservazione della Terra dell'Unione europea, ci dice che il 2023 è stato un anno molto caldo, e l’inizio del 2024 conferma questo trend, definito letteralmente “The warmest calendar year in global temperature”.

Luca Mercalli è un climatologo e divulgatore scientifico italiano, presidente della Società meteorologica italiana, Responsabile dell'Osservatorio Meteorologico del Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri e docente in varie università.

Partiamo da questi dati: il 2023 è l'anno più caldo di sempre. Questo è confermato in tutto il pianeta. Non è una sorpresa, assolutamente, anche rispetto a quanto monitorato in anni di misurazioni, il trend - già allora temuto e ampiamente previsto - sta continuando.

“Questo fenomeno non è altro che una sorta di sintomo della patologia climatica, come la febbre, che sta crescendo e peggiorando perché noi non mettiamo in atto nessuna cura: questo è il nocciolo della questione!

Si parla tanto di Clima ma, e per capirlo basta guardare quello che è successo con la rivolta degli agricoltori, si guarda sempre al problema di domani mattina, al problema contingente, il tema climatico/ambientale rimane sempre su uno sfondo - lontano - e viene sacrificato sull’altare dei vantaggi immediati. Gli agricoltori da un lato protestano perché si   sentono penalizzati. Nello stesso tempo non vogliono perdere competitività applicando le restrizioni del Green deal, meno pesticidi, meno emissioni e così via. Questo atteggiamento non è compatibile con il tema ambientale: equivale a lamentarsi di una malattia, ma non voler fare la cura.

Io sono pienamente d'accordo con il fatto che gli agricoltori non debbano sopportarne tutti i costi, questo è giusto. È assolutamente corretto, però penso non sia giusto dire per il guadagno immediato noi rifiutiamo le misure necessarie a mettere in atto politiche di sostenibilità ambientale, perché questo atteggiamento contribuisce a peggiorare sia le cause che gli effetti di fenomeni climatici che domani procureranno nuovi danni.

Tutti stanno posponendo le soluzioni al peggioramento della crisi climatica; penso alle remore rispetto alle auto elettriche espresse non solo dalle grandi industrie dell’automobile, ma anche da uno spicchio ampio della società tutta; salvo poi – anche quella parte di società che frena lo sviluppo verso la sostenibilità ambientale - lamentarsi quando arriva l'alluvione, quando in sostanza hai ormai il fango in casa.

Il problema è che manca la cultura scientifica, i dati non sono conosciuti; inoltre la componente psicologica del problema fa sì che un qualcosa che deve arrivare in un futuro un po’ più lontano venga sempre messo in seconda posizione rispetto al problema contingente. Questo vale anche per la politica, purtroppo”.

È a questo punto, quindi, che l’orizzonte economico di breve e medio termine prende il sopravvento?

“Certo, il discorso Economico emergerà comunque, ma in senso irrimediabile quando i danni saranno ormai ingestibili. Guardi la grandinata che c'è stata a fine luglio, il 24 di luglio, da Milano fino al Friuli, con chicchi di 1 kg di peso.

Questa grandinata ha creato un tale danno alle case, alle automobili, all'agricoltura stessa che ha messo in crisi le assicurazioni. Se capita una volta ogni tanto pazienza, ci rimbocchiamo le maniche come sempre abbiamo fatto. Ma se questi eventi diventano più frequenti e più intensi, non riusciamo più a starci dietro, non riusciamo più a rialzarci. E questo è il punto centrale del problema che non si vuole capire, a conti fatti, alla fine, è un danno economico comunque.

Semplicemente è un danno economico che vedrai fra due, fra 5 anni lo vedranno i tuoi figli, ma quando arriva sarà molto più grosso del danno economico temuto oggi solo perché entra in vigore una nuova normativa ambientale dell'Unione europea che equivale, questo aspetto proprio non si vuole capire, a pagare un'assicurazione. Noi paghiamo oggi, bisogna fare qualche sacrificio qualche cambiamento, e risparmiamo molto di più domani.

Ma io non vedo aria di rivoluzione per strada. Sulle spese per gli armamenti, per esempio.

Allora per le spese per l'ambiente scendiamo tutti con il forcone, in strada, e per i miliardi di euro che buttiamo a fabbricare armi No?

Allora dico, beh, forse sarebbe meglio usare i soldi delle armi per occuparsi dell'ambiente, invece che tacere il fatto che spendiamo miliardi per qualcosa che serve a distruggere il mondo per poi lamentarci perché l’Europa chiede di andare verso un'agricoltura più sostenibile. Questo, insomma, è per descrivere il problema della nostra attualità.

Il fatto è che le leggi fisiche non è che ci aspettano, vanno avanti e ci chiederanno il conto”.

Prof Mercalli, questo poi soprattutto è un discorso di economia globale, si tende più a far prevalere il risvolto economico, piuttosto che quello che può essere il risvolto dell’impatto climatico sull’aspetto geologico, l’impatto pure sugli oceani stessi.

“Questo nuovamente è un atto di miopia.

Il problema climatico è prioritario comunque, solo che viene nascosto dalla quotidianità.

Il World Economic Forum che si è riunito anche quest'anno a Davos, ormai è da tre anni che pubblica il rapporto sui rischi globali che minacciano l'umanità: al primo posto c'è quello climatico.

Quindi lo dicono perfino gli economisti e i finanzieri.

Allora vuol dire che c'è qualcosa di storto nella complessa comprensione, cioè vincono gli aspetti economici a breve termine, ma non è che l'economia non sia influenzata; semplicemente non succederà fra due mesi, fra tre mesi; ma poi la prossima estate, se arriva una nuova siccità l’agricoltura perderà molto di più di quello che rischia di perdere oggi con una normativa nuova”.

Questo stravolgimento climatico, da che parte pesa nella vita di tutti i giorni?

“Non è che l'economia comunque sia fuori da questo tema. La perdita economica è dietro l'angolo ma si preferisce il consenso del giorno dopo.

Per consenso, e qui il problema diventa della politica, si intende che le persone si accorgono più facilmente di un aumento di 10 centesimi sul litro di gasolio che dell’elenco dei danni di una grandinata da 1 kg sul terreno di un agricoltore, che poi non è nemmeno dimostrabile.

Io 10 centesimi di aumento di gasolio li vedo subito perché domani mattina li devo pagare al benzinaio, invece l'aver limitato un danno di domani non lo vedo.

Politicamente non paga. Come faccio a dimostrarlo?

Inevitabilmente si appiattisce tutto su questa realtà quotidiana molto banale ma che non fa i conti con le leggi della fisica che poi ci daranno il conto finale maggiorato fra i prossimi mesi come sta capitando ormai continuamente.

Capisce cosa voglio dire?”

Certo. E questo aumento climatico, sui nostri ghiacciai, che effetto ha?

“I nostri ghiacciai, possiamo dire, sono un sintomo facile da vedere.  I ghiacciai cioè si vedono.

Uno va a farsi una vacanza in montagna d'estate e guarda la cartolina di trent'anni fa e guarda oggi e vede che il ghiacciaio non c'è più.

Questo, di fatto, è uno dei tanti problemi generati dal surriscaldamento globale. Chiaramente dove il ghiacciaio scompare non c'è più acqua; quello è fatto locale però. I ghiacciai non è che ci siano ovunque. Dove ci sono la loro scomparsa crea un problema, dove non ci sono i ghiacciai mi sembra che non ci si ponga il problema.

Per fare un esempio: sull’appennino si vive anche senza ghiacciai, però se farà caldo e ci sarà siccità l’appennino, che soffre la siccità già oggi, la soffrirà di più domani; le Alpi, invece, finché ci saranno i ghiacciai avranno un po’ più di acqua, quando i ghiacciai saranno finiti anche le Alpi saranno secche come l'appennino”.

Ecco un altro elemento che è stato piuttosto anomalo. Questo inverno l’anticiclone nordafricano ha portato ad un picco di 21° ad Aosta portando lo zero termico a 3.900 metri, che è una cosa assurda.

“Ma questi sono i dati che in giro per il mondo confermano l'aumento della temperatura. Questo è stato uno degli inverni più caldi della storia, quando chiuderemo le medie vedremo che già dicembre e gennaio sono tra i mesi più caldi da 200 anni”.

Certo ascolti, visto che lei ha parlato anche delle grandinate. Io mi ricordo quando ci furono le alluvioni, disastri che abbiamo avuto in Italia. Purtroppo abbiamo di questi fenomeni violenti che non appartengono alla nostra storia e hanno comportato gravi danni.

“L'Italia è sempre stata esposta a fenomeni meteorologici gravosi. Di alluvioni ne abbiamo da 2000 anni, tutte quelle che vuole. Il problema è che stanno diventando più frequenti. Questo tema non è solo alluvioni!  pensi a quella del Polesine, pensi a quella del 66 a Firenze. Il problema è che stanno diventando più frequenti. Penso all'alluvione come quella della Romagna a cui poi è seguita, subito dopo, quella di Campi Bisenzio a 200 km di distanza”.

Quindi se non cambia niente ci dobbiamo abituare all’aumento della frequenza di questi fenomeni violenti.

“Lei non si può abituare. Non ci si può abituare.

Uno si prende tante botte sulla schiena. Ecco, alle botte sulla schiena non ci si abitua mai.

Purtroppo fanno male e basta”.

Anche perché noi penso che non siamo comunque attrezzati per fronteggiare questi eventi estremi. E si è visto appunto nelle recenti alluvioni, è stato un disastro, anche economico.

“Siamo un paese che ha purtroppo peggiorato anche il proprio uso del territorio. Più cementifichiamo e più siamo fragili di fronte alle alluvioni. Un paese che già aveva i suoi problemi in passato, non ha fatto altro che renderli ancora peggiori con la cementificazione. Oggi il conto è più salato fino a via delle alluvioni aumentano”.

COP 28. E è stato un grande evento, ma sembra abbia prodotto pochi risultati. Ha tradito le aspettative di una parte del mondo che attendeva risposte serie e impegni precisi?

“Non è stato un grande evento, è stato un evento corrente ormai, perché il numero 28 vuol dire che ne abbiamo fatte 27 prima.

Da 27 anni, quindi, più o meno ogni anno, ci si attende chissà cosa da un'assemblea di condominio, dove si litiga e dove alla fine si mettono due paroline in più sugli accordi, però non è qualcosa che dà una svolta.

È un tentativo lentissimo e inefficiente di arrivare a mettere d'accordo tutti i paesi del mondo sulla riduzione delle emissioni. Ma lo vede: che cosa è cambiato? A dicembre a gennaio sono passati due mesi lei forse vede qualcosa di diverso?”.

Assolutamente no.

“Semplicemente ci sono ancora altri 10 mesi prima di fare la Cop successiva, la numero 29 che faranno in Azerbaijan e dove più o meno diremo tutte le stesse cose che stiamo dicendo da 28 anni. Potevamo fare di più…il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto…hanno detto che bisogna uscire dal petrolio, ma bisogna farlo con calma, senza traumi… questo equivale a dire non lo faccio”.

Chiaro!

“È come la visita per la dieta, dal medico; ma si, ha detto di mangiare un po’ di meno, di fare un po’ più di attività fisica…però il medico se veramente te la vuol far fare la dieta ti dà un foglio e ti dice chiaramente: metti 20 grammi di pane, 20 grammi di pasta, o la fai o muori. Quella è la vera dieta. Con dei tempi, con dei modi. Non dicendo, mentre ti dà una pacca sulla spalla vabbè, mangia un po’ de meno.

Ecco, noi abbiamo la COP, che è l'equivalente di questo. Ci ha dato una pacca sulla spalla e ci ha detto consuma un po’ meno petrolio e vedrai che tutto andrà bene. Invece servivano delle date precise dicendo, per esempio, 5% in meno ogni anno e partiamo da domani”.

Nulla, non c'è stato nulla di tutto questo. Però io mi chiedo una cosa, ma adesso lei sicuramente si ricorderà il protocollo di Montreal quando ci fu il problema dell'ozono. E è stata una cosa veloce, che ha messo d'accordo su subito tutti gli Stati.

“Perché era facile, perché era un prodotto solo che serviva per una piccola cosa, i frigoriferi e le bombolette spray.

Il gas era prodotto da cinque o sei grandi industrie chimiche che avevano un prodotto sostitutivo più o meno allo stesso costo. Il Protocollo di Montreal non l'abbiamo nemmeno visto pubblicamente. Io credo che l'abbiano fatto a tavola, seduti in sei o sette. Gli amministratori delegati delle sei o sette grandi multinazionali chimiche che lo fabbricavano, quindi è stato un successo, ma perché era in un contesto più facile.

Il petrolio, il carbone e il gas muovono il mondo e quindi non sono paragonabili ai clorofluorocarburi”.

Al di là dei proclami e delle buone intenzioni che si manifestano a livello internazionale, le chiedo in qualità di esperto, abbiamo ancora tempo per invertire la rotta?

“Per invertire no!

Abbiamo ancora tempo per evitare i sintomi peggiori, quindi possiamo scegliere tra una febbre moderata e una febbre molto forte.

Ma indietro non si torna.

La guarigione ormai è fuori discussione, quello che ha aumentato la temperatura fino a oggi ce lo teniamo per i prossimi secoli.

Però c'è la scelta, l'accordo di Parigi dice proprio questo, dice o 2 o 5 gradi.

E ovviamente a ogni temperatura corrisponde maggiore rischio di eventi estremi più cattivi, più frequenti. Il mare aumenta di più perché fondono i ghiacci della Groenlandia.

Già adesso il mare aumenta di 4,6 mm all'anno.

Quindi il problema ce lo abbiamo già sotto i piedi, non è qualcosa che arriva domani. L'unica scelta che possiamo fare è diminuire i sintomi, cioè diminuire Il rischio peggiore, ma non possiamo tornare indietro e guarire.

Ogni giorno perduto, purtroppo, è un giorno che ci allontana dall'obiettivo”.

Senta ma visto che comunque voi esperti sono anni che lanciate gli allarmi, che sono purtroppo inascoltati dai vari governanti, lei ritiene che noi come persone comuni possiamo essere fiduciosi o dobbiamo essere timorosi?

“Io sono timoroso, ecco, lo posso dire!”.

Mi piace, ma mi preoccupa, la sua franchezza. Ascolti le chiedo un'ultima cosa, che francamente non riesco a spiegarmi. Come mai ci sono ancora sedicenti negazionisti dei cambiamenti climatici? Di fronte a tutta questa mole di dati che sta uscendo adesso. Come mai ci sono ancora dei sedicenti professionisti, professori universitari, politici e governanti che riescono a negare questo fenomeno?

“Ci sono tre motivi.

Il primo meramente è un motivo economico, non dimentichiamo che dietro questa transizione ecologica ci sono enormi interessi di denaro. Il mercato dell'energia fossile muove migliaia di miliardi di dollari e quindi chi si vede scappare un po’ “la gallina dalle uova d'oro” farà di tutto per ostacolare il cambiamento. Quindi c'è una parte di negazionismo foraggiato da chi ha degli interessi economici.

Poi c'è una parte di negazionismo, sempre diciamo con delle etichette più o meno accademiche, che deriva semplicemente da problemi personali, cioè ci sono le persone che godono nell’ assumere una posizione di contrarietà per narcisismo, per protagonismo. Lo sappiamo, l'abbiamo visto anche con il Covid. Quindi ci sono dei profili patologici di psicopatologia, e la colpa è del giornalismo che li mette in mostra. Il terrapiattista esiste da sempre, certo. Ha una patologia? È un problema suo. Il problema è del giornalista che non lo deve chiamare a metterlo in mostra, lui gode di essere presente, di essere qualcuno. Quindi un problema di patologia personale.

Terzo problema invece, è una patologia sociale. È molto comodo deresponsabilizzarsi. E allora se io trovo uno che mi dice non è vero niente, vado da lui, seguo quella visione, perché è più facile, mi evita un'ansia, mi evita di dovermi mettere in gioco. Quindi lo vediamo in tanti altri settori: le persone quando vengono poste di fronte a due scelte andranno da quella più facile, meno dolorosa che non fa male, che non crea un disturbo di responsabilità, quella che non gli fa rischiare di pagare di più la benzina. Insomma, alla fine tutti questi elementi concorrono a rallentare la presa di coscienza. è come la questione del medico che dicevamo prima. Vai, vai da quello che ti dice quello che vuoi sentirti dire. Peccato che poi muori di infarto, ecco.

Se non parliamo di queste cose, purtroppo abbiamo sempre meno possibilità".

Tutto questo poi ha anche dei risvolti, sul mercato del lavoro, sul benessere delle persone, sul welfare.

"Quindi non sono argomenti stregati. No?"

No, ma assolutamente. Infatti gliel'ho detto, periodicamente ci ritorniamo sopra.

Purtroppo!

Ultimo aggiornamento: 16:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA