I fari accesi dei trattori illuminano la notte mentre i clacson richiamano l'attenzione di automobilisti, passanti e cittadini. 50 mezzi guidati da allevatori e da agricoltori provenienti da vari paesi del Lazio che, insieme ai colleghi di Abruzzo e Toscana, ieri sera sono arrivati in via Nomentana 1111, dove ad attenderli c'erano gli altri manifestanti giunti in zona sin dal mattino.
IL RADUNO
I primi mezzi pesanti sono arrivati ieri all'alba dall'Abruzzo, poi, intorno alle 19 gli altri da varie regioni.
Centinaia di manifestanti che, dormendo nei loro trattori, hanno trascorso lì tutta la notte, nonostante il freddo. «Sacrifici che dobbiamo fare per risolvere questo problema una volta per tutte» ribadiscono in coro. «Tutti devono conoscere i nostri problemi. È ora che in Italia si inizi a parlare delle nostre difficoltà tra tasse sempre più alte e gasolio sempre più caro. Per troppo tempo siamo stati descritti come quelli cattivi che uccidono gli animali. Non è così». A parlare è Salvatore Fais - anche lui fondatore di Riscatto Agricolo - arrivato a Roma da Piombino. È uno dei manifestanti più giovani, ha 30 anni e insieme alla sua famiglia gestisce un allevamento di pecore. «Ci hanno abbandonati e per questo siamo qui. Il governo deve ascoltarci». Chiedono di essere ascoltati, vogliono che venga istituto «un tavolo tecnico permanente per affrontare la situazione» spiega Salis.
I problemi sono tanti, troppi. «Così tanti che prima o poi molti di noi chiuderanno», dice Antonio D'Amario, allevatore abruzzese di 60 anni, che è partito domenica sera da Atri per arrivare ieri all'alba a Roma. Antonio fa questo lavoro «da sempre». «Da quando avevo 20 anni» racconta. Anche lui ha un'azienda a conduzione familiare che gestisce insieme alla moglie e alla figlia. Azienda che però se le cose continuano così è pronto a vendere. «Sono più i costi di gestione che i ricavi. Lavoriamo 15 ore al giorno, ma per cosa? Per colpa della concorrenza sleale delle multinazionali siamo costretti a svendere i prodotti» spiega D'Amario. E lo conferma Roberto Rosati, altro allevatore abruzzese arrivato dalla provincia di Teramo. La sua azienda ha dieci dipendenti. Dieci padri di famiglia che se lui chiude si troverebbero senza lavoro. «Prima la pandemia, poi le guerre. Una tragedia. Per noi produrre ormai è diventato anti economico. La Pac, la riforma della politica agricola comune, tutela solo le multinazionali e non noi piccoli produttori. Le istituzioni dovrebbero sostenerci perché siamo noi a far girare l' economia. Siamo noi a dare lavoro a tante persone. Siamo noi a lavorare senza inquinare perché facciamo tutto a chilometro zero, a differenza della grande distribuzione. Abbiamo bisogno di aiuti concreti. Chiediamo ristori per l'aumento del gasolio agricolo, devono eliminare l'Iva sulle accise. E non solo». Le richieste sono tante e verranno messe nero su bianco - dicono - prima di incontrare, sperano, i rappresentanti del governo.