Campidoglio, De Vito: senza quel dossier oggi sarei sindaco

Mercoledì 1 Febbraio 2017 di Simone Canettieri
Campidoglio, De Vito: senza quel dossier oggi sarei sindaco

Sempre la stessa vocina. Da un anno a questa parte. Sempre lo stesso ragionamento affiora nella testa di Marcello De Vito: «Se non ci fosse stata quella carognata del finto dossier contro di me, il candidato sindaco non sarebbe stata Virginia, ma io». Il presidente del consiglio comunale, mister preferenze con 6.451 voti, è sicuro che sarebbe andata diversamente. La storia del M5S a Roma avrebbe preso un’altra curvatura se gli altri tre ex colleghi di opposizione (Raggi, Frongia e Stefàno) non gli avessero armato contro il finto dossier su cui indaga la Procura e per cui lo ha anche ascoltato domenica. Il ragionamento ha alcune date da seguire. Lo snodo è il 28 dicembre 2015. I tre moschettieri grillini organizzano una riunione con i consiglieri municipali del M5S, senza De Vito, e lo accusano di «una serie di atti contrari alla buona amministrazione e un reato». E cioè un presunto abuso di ufficio in relazione ad una richiesta di accesso agli atti per un condono edilizio.
 

 


A questa riunione ne seguirà un’altra con i big grillini, ma è la prima che De Vito e i suoi collaboratori considerano «fondamentale» per inquinare le sorti della candidatura. Perché? I municipali grillini fanno parte della platea di iscritti al blog che da lì a poco avranno diritto a scegliere il nome del portavoce che correrà per conquistare il Campidoglio, dato per «quasi vinto» da mezza Roma, vista la fine ingloriosa del Pd e di Marino. Sono loro che ascoltano con gli occhi sgranati le accuse a De Vito, popolarissimo in quanto già candidato sindaco nel 2013, e saranno sempre loro, una volta accesa la macchina del fango, a raccontare ai rispettivi meetup, ad altri iscritti, «non potete capire che abbiamo scoperto su Marcello». Morale della favola: il 23 febbraio le comunarie on line impalmano Virginia Raggi come candidata sindaca di Roma del Movimento 5 Stelle. Gli attivisti romani le tributano il 45,5% dei voti (pari a 1.764 preferenze), De Vito si ferma al 35% pari a 1.347. Quattrocento web-preferenze di distacco. «Quanto ha influito il dossier? Quanto ha voluto dire essere stato calunniato?». Da un anno a questa parte la vocina nella testa del presidente del consiglio ripete sempre questa domanda. E’ stato così anche ieri quando la bestia del complotto si è risvegliata pubblicamente dal torpore. «L’ho fatto solo per il bene del M5S, mi sono comportato da vero militante, non ho voluto fare casini in giro, in questo anno sono stato molto zen, ma lo so solo io cosa significa, quanti bocconi ho dovuto mandar giù».

L’ESPOSTO
«Marcellone», come lo chiamano gli amici per via del fisico da giocatore di pallanuoto, «è un buono». «No - ripete con sempre maggior forza in queste ore l’amica e deputata di riferimento Roberta Lombardi - Marcellone è un gran signore».
Al punto che quando scoppiò la storia del dossier, quando il ventilatore del fango iniziò a girare all’impazzata si mise a scrivere un bell’esposto in Procura. D’altronde è un avvocato: «Calunnia e violenza privata», con tanto di articolo del codice penale di riferimento. Ma alla fine il presidente del consiglio ha sempre preferito lasciar perdere, accartocciare la denuncia e tirare avanti. Con la sicurezza che quando ti fissa negli occhi, e intanto si divora una sigaretta (è famoso per le tirate lunghissime e potenti tra una pausa e l’altra del consiglio: se è “in forma”, l’accende e la spegne in sessanta secondi netti) sta pensando con lo sguardo perso proprio alla fregatura che ha preso da quelli che sono stati i suoi compagni di viaggio. «Il candidato sarei stato io». Questa disciplina di partito, non sfuggì a Beppe Grillo durante le elezioni. E nemmeno a Gianroberto Casaleggio che, prima di morire, in più di un’occasione lo chiamò per «ascoltarlo». Ora, dopo l’arresto di Raffaele Marra, i rapporti tra il presidente dell’aula e l’ex comico di Genova si sono intensificati. Due telefonate a settimana per capire cosa succede a Roma. Sottinteso: cosa combina la «signora», come la chiama Grillo, riferendosi alla Raggi. Con la quale «Marcellone» continua a dissimulare soprattutto in pubblico: ilmazzo di fiori in Aula il giorno dell’insediamento, le difese d’ufficio in consiglio. Rapporti istituzionali anche con Frongia, ancora meglio con Stèfano (l’altro giorno stavano a pranzo insieme alla terrazza Caffarelli con altri 4 consiglieri). «Ci vuole la mia pazienza per sopportare un anno così», si sfoga ancora De Vito, dribblando la solita vocina che gli dice: «Potevi essere tu il sindaco questa volta».

Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 08:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA