Referendum, Grillo: «È un Paese spaccato. Sconfitta? Ci darebbe forza»

Sabato 3 Dicembre 2016 di Mario Ajello
Referendum, Grillo: «È un Paese spaccato. Sconfitta? Ci darebbe forza»

dal nostro inviato
TORINO Beppe Grillo canta, molto bene, suonando anche il pianoforte, il blues del No. Ed è la musica che più descrive lo stato d'animo del leader 5Stelle. Non l'entusiasmo di una vittoria vicina, e che pareva quasi sicura secondo i pronostici, ma la malinconica sensazione di non farcela. Prima di salire sul palco torinese, per la chiusura della campagna referendaria, scuotendo il testone pieno di riccioli bianchi Grillo si lamenta: Avete visto quanti italiani all'estero hanno votato? Una marea. Quei voti il governo se li è comprati tutti».

MOSSA TATTICA
Poi, davanti alla piazza non gremita e un tantino in blue mood (non per colpa del freddo), Beppe fa l'elogio della sconfitta: «Se perdiamo non cambia nulla, ma il Paese resterà spaccato in due»; «Possiamo perdere, tanto poi ripartiamo molto più forti di prima»; «Se perdiamo, non darò la colpa a nessuno e intanto ho già comprato uno scatolone di Maalox da prendermi lunedì». Dunque sta mettendo le mani avanti, il comico e leader di fronte al possibile flop? Un po' è così, e la baldanza e il super attivismo di Renzi in questi ultimi giorni lo ha impressionato («Si sta vendendo pure la madre»), ma un po' o molto l'insistenza grillesca sulla sconfitta è una mossa tattica.
Beppe cerca di smuovere l'elettorato in sonno che alle elezioni politiche ha votato M5S ma stavolta non sembra appassionato alla partita perché tranquillizzato dai vecchi sondaggi. Drammatizza («Sono felice di perdere, la sconfitta è poesia e la nostra sconfitta sarà meravigliosa») per mobilitare. Parla ai cittadini che tendenzialmente non amano il governo ma non sono intenzionati ad andare domani alle urne. Guardate che forse vincono i peggiori, cioè «i mercati internazionali, le lobby, le banche, J.P. Morgan e anche la P2» (stando allo storytelling della piazza grillina), e allora datevi una mossa: questo il messaggio messo in campo dal numero uno che evoca lo spettro «Italia semi-libera» e addirittura «Italia come la Corea del Nord», se vince Renzi il quale «promette 85 euro a chiunque gli passa davanti». Gli altri si mostrano più ottimisti di Beppe. La Raggi, come al solito, non fa che saltellare e ballare dietro il palco in modalità, ancora una volta, «bello, bellissimo». I selfie di Virginia & Chiara (la sindaca torinese Appendino) si sprecano. E anche le grida di combattimento: «Ci vogliono togliere il diritto di voto per il Senato», urla la Raggi, «e non siamo la maggioranza silenziosa ma la maggioranza silenziata». La Appendino rincara la dose: «Dire di No a questa riforma è la vera rivoluzione!!!!».
La piazza della spallata (?) 5Stelle, tra bandiere palestinesi e gazebo No Tav, non sembra più quella dei bei tempi. Si è scelta Torino per il finale della campagna in quanto cuore del nord-ovest dove il No stenta. E più del #VinceremoNoi (al referendum) c'è soprattutto in Grillo, ma non solo, il #VinceremoPoi (alle elezioni politiche). Con Di Maio, ieri un po' moscio, candidato premier? Anzi con il Dibba per Palazzo Chigi, anche se ormai si sente scrittore e ha appena pubblicato con l'establishment (cioè la berlusconiana Rizzoli) le sue compiaciutissime narci-memorie? La star Appendino, considerata l'opposto dell'autolesionismo marca Raggi, è quella a cui Grillo e Casaleggio junior stanno pensando come candidata premier, vada come vada il referendum. Soprattutto il figlio di Gianroberto - il profeta che non c'è più ma comprare in un video applauditissimo e vaticinante: «Non si libereranno mai di noi, perché è difficile vincere contro chi non si arrende mai» - punta su Chiara. Ma sul palco The Young Pope, così alla Sorrentino viene soprannominato Casaleggio jr., dice appena due parole: «Dalla prossima settimana cominciamo a preparare il programma di governo». Dunque anche per lui il referendum sembra già archiviato magari non nella casella vittoria. #VinceremoPoi, appunto.

TUTTI SU MARTE
Magari in altre forme. «Se perdiamo domani andiamo su Marte, facciamo una bella setta e poi riescendiamo e sbaragliamo tutti», è l'immagine alla Philip Dick di Grillo. Che insiste: «Se perdiamo, chissene frega. Io nella mia vita ho sempre fallito e sono contento lo stesso. E prendiamo per esempio quel geniaccio di Edison. Quante cacchio di lampadine ha bruciato prima di farne funzionare una?». Ma la piazza è spiazzata, avverte che il Sì è in rimonta e evoca sempre la parola «paura» (attribuendola agli avversari) per esorcizzare la propria. Non si sentono affatto tranquilli i grillini. Puntano ancora e come sempre sul grido «onestà, onestà!» e sulla retorica anti-casta, che sentono un po' scippata da Renzi in questa campagna referendaria, ma in un ristorante casta e molto casta (tra i più costosi di Torino, a piazza Solferino) hanno pranzato Rocco Casalino, Ilaria Loquenzi e gli altri della comunicazione 5Stelle prima che cominciasse il sabba della purezza pauperista del No in questa piazza. Nella quale, dietro le quinte, Grillo confessa: «Nei singoli punti, la riforma Boschi non è male. Ma la pancia, la pancia.... Il voto dev'essere di pancia e la pancia dice No». Ma neanche Beppe ne è tanto sicuro.

 
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