Renzi va allo scontro con la Ue. La road map di Palazzo Chigi: riscrivere il fiscal compact

Sabato 22 Ottobre 2016 di Marco Conti
Matteo Renzi

dal nostro inviato
BRUXELLES
«Non cambio la manovra, ma cambio l'Europa». Il proposito enunciato ieri da Matteo Renzi al termine del Consiglio Europeo, anche se non è stato espresso in maniera così brutale, dà il senso della sfida aperta dall'Italia in una Unione in forte crisi. Una Ue che per Renzi è guidata da una burocrazia a corto di argomenti, assediata da sentimenti populisti e anti europei. «Tecnocrati», li ha definiti, pronti a barricarsi dietro i trattati e dimentichi che la politica, peggio le armi, sono in grado di rendere opinabili persino le addizioni. Figuriamoci gli algoritmi del fiscal compact.

DELUSO SUI MIGRANTI
L'affondo di Renzi ai tecnocrati della Commissione, che sarebbero pronti a spedire all'Italia una lettera di chiarimenti se non una richiesta di correzioni alla legge di Bilancio, è stata durissima ed incassata senza repliche persino da Juncker che non una parola ha speso per commentare le affermazioni del premier italiano. Lo stesso che poche settimane fa a Bratislava organizzò una personalissima e inattesa conferenza stampa nella quale offrì del vertice appena concluso una descrizione fallimentare e opposta a quella che in contemporanea stavano dando Hollande e Merkel.

Da Bruxelles Renzi ieri è rientrato ammettendo di aver incassato poco o nulla sulla faccenda dei migranti («vedremo a dicembre»), respingendo però i tentativi di coloro che lo avrebbero voluto per due giorni a caccia di indulgenze da parte di Juncker o di Moscovici. «Solo da noi il dialogo con Bruxelles è visto come un dramma», ha sostenuto al termine del vertice.

E poiché il dramma può essere anche comico, il libretto renziano non prevede lacrime. Almeno non per l'Italia. Almeno sino a quando anche gli altri paesi, Germania in testa, non rispetteranno tutte le regole: dal surplus commerciale, all'accoglienza dei richiedenti asilo. Sicuramente niente «lacrime» prima del 4 dicembre, giorno del referendum costituzionale dopo il quale - in caso di vittoria dei Sì - sarà però ancor più complicato per Juncker chiedere a Renzi indietro lo 0,2% che l'Italia si è presa e che potrebbe aver contribuito al successo elettorale.

L'europeismo muscolare di Renzi rappresenta una novità per l'Italia - solitamente in loden a Bruxelles - che lo stesso premier ha sottolineato ricordando che sono stati i suoi ultimi predecessori a firmare trattati «che non condivido, ma che rispetto». E che, soprattutto, «voglio cambiare». Il riferimento, neppure tanto implicito, è al fiscal compact e alla regola di pareggio di bilancio che di recente è finita in Costituzione. «Regole europee di Bilancio - ha sostenuto Renzi - da cambiare perché hanno dimostrato di non funzionare. Ma fintanto che ci sono l'Italia le rispetta».

LE SCADENZE
Per porre delle date a quel «fintanto» basta il racconto della riunione avuta da Renzi giovedì pomeriggio con gli eurodeputati del Pd. La scaletta è banale ma significativa. Primo obiettivo «vincere il referendum, e lo vinceremo». Poi mobilitazione dentro, ma soprattutto fuori, del partito per preparare Roma-2017. Infine il G7 a Taormina con il probabile debutto della Clinton.

La celebrazione nella Capitale dei sessant'anni del Trattato di Roma deve diventare, per il premier, la leva per una vera e propria svolta.

L'occasione dove «i Ventisette provano ad immaginare un futuro» specie dopo la Brexit. Renzi non è interessato ad avere con Londra un «negoziato durissimo», come auspicato da Hollande. Vorrebbe chiudere al più presto una separazione consensuale, e non vendicativa, per dedicarsi al rilancio del progetto comunitario. Nell'anno delle elezioni politiche in Francia e Germania, Renzi vorrebbe trasformare Roma-2017 in un evento in grado di porre una discontinuità in Europa tra il prima e il dopo.

Ultimo aggiornamento: 15:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA