Rapporto Istat/ La mappa del disagio spiega il referendum

Mercoledì 7 Dicembre 2016 di Antonio Golini
L’Istat ha appena diffuso un Rapporto su reddito ed esclusione sociale.

Il “Rapporto sul Reddito e l’esclusione sociale in Italia nel 2015” è particolarmente significativo e di straordinario interesse politico e sociale. Segue nei suoi contenuti e nella sua struttura una direttiva europea che richiede a tutti i Paesi dell’Unione di effettuare un’analisi nazionale, ma che in Italia viene effettuata su un campione assai ampio che consente di descrivere accuratamente la situazione dei redditi di coloro che vivono in Italia - tanto italiani, quanto stranieri - con un dettaglio che arriva a livello regionale. 

Questa possibilità fornisce all’analisi di quest’anno una singolare peculiarità, di essere accostata, dal punto di vista territoriale, alla geografia del voto sul referendum di domenica scorsa. E così viene fuori - non inaspettatamente, a ben pensarci - che si possono sostanzialmente sovrapporre la carta geografica in cui prevale il “Sì” con quella in cui prevale il benessere economico e sociale. Sono infatti il Trentino-Alto Adige, la Toscana e l’Emilia-Romagna le sole tre regioni nelle quali ha prevalso il “Sì” e sono tre regioni ad elevata “ricchezza” sociale, oltre che economica. Ma non meno significativamente sono le regioni a più forte deprivazione, quelle meridionali, a far segnare una netta prevalenza di “No”.

Il fatto è che il referendum non è stato interpretato dalla maggioranza dei votanti solo nel suo pieno e articolato significato tecnico-politico (peraltro non facile da definire compiutamente), ma anche nel significato ben più ampio di espressione della condizione di vita propria e della propria famiglia, vista in relazione al contesto e all’azione socio-politica. In questo ambito, l’indagine Istat fa rilevare come la metà delle famiglie residenti in Italia abbia percepito nel 2015 un reddito netto non superiore a 24.190 euro l’anno (circa 2.016 euro al mese) che nel Mezzogiorno però scende a 20.000 euro (circa 1.667 euro mensili). E per di più, il reddito del 2015 è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2013, segno evidente di una mancata crescita che nel Paese si è pienamente avvertita e che pare essersi riflessa anche nel referendum da più parti visto - o invocato? – come giudizio-valutazione sull’operato del Governo Renzi.

Certamente i cittadini hanno percepito le difficoltà che vivono individualmente e che testimoniano le difficoltà dell’intero Paese in questo ultimo periodo di crisi, tenendo conto, ad esempio, che l’Istat testimonia come fra il 2003 e il 2009 il reddito medio in Italia abbia tenuto, ma poi sia calato sensibilmente fra il 2009 e il 2014 soprattutto per quanto riguarda il reddito da lavoro autonomo. 

Globalmente nel 2015 si stima che il 28,7% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito europeo dalla Strategia Europa 2020. L’indicatore corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle seguenti condizioni: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, bassa intensità di lavoro. L’analisi dell’Istat segnala come la quota di persone a rischio di povertà o esclusione sociale rimanga sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%), frutto di un lieve aumento degli individui a rischio di povertà (che passano da 19,4% a 19,9%) e di un modesto calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (da 12,1% a 11,7%); resta invece invariata la quota di persone che vivono in famiglie gravemente deprivate (11,5%). In buona sostanza nessun progresso proprio nel periodo di vita dell’ultimo Governo.

A godere dei maggiori redditi sono stati i lavoratori autonomi nel Nord con 36 mila euro e i lavoratori dipendenti nel Mezzogiorno con 25 mila; hanno tenuto i redditi delle famiglie con 1 o 2 minori, mentre sono calati fortemente quelli con 3 minori (e questo giustifica largamente il ridotto numero dei nati terzogeniti in Italia e quindi la bassissima fecondità del nostro Paese).

Un Rapporto davvero ricco di dati e informazioni che possono indicare e segnare il cammino politico che voglia intraprendere un Governo attento alla riduzione degli squilibri territoriali e degli squilibri sociali, così forti che si stima che il 20% più ricco delle famiglie percepisca il 37,3% del reddito totale, mentre il 20% più povero solo il 7,7%. Un percorso che una gran numero di italiani non ha riconosciuto in quello seguito dall’ultimo Governo.
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