Consultazioni, pressing su Renzi. Il Colle: «Tempi stretti»

Venerdì 9 Dicembre 2016 di Mario Conti
Consultazioni, pressing su Renzi. Il Colle: «Tempi stretti»

ROMA Il «governo di tutti» si consumerà tra oggi e domani perché nessun partito d'opposizione aderirà alla proposta fatta da Renzi, durante la direzione del Pd, di sostenere insieme un esecutivo istituzionale che porti la legislatura a conclusione. Negli appunti del Quirinale resterà invece annotata, e sottolineata, la disponibilità dei vari partiti a sedersi a un tavolo che metta mano a una legge elettorale omogenea tra Camera e Senato.

TAVOLO
L'argomento sta particolarmente a cuore a Sergio Mattarella. Meno alle forze politiche che, prese dalla smania elettorale e dimentiche della paralisi istituzionale seguita alle elezioni del 2013, ufficialmente invocano solo le elezioni e rifiutano una trattativa che potrebbe arrivare ben oltre l'estate prossima. Al di là delle dichiarazioni, è però molto probabile che i ragionamenti del capo dello Stato facciano breccia in alcuni partiti e un primo riscontro si avrà nelle prese di posizione dei capi-delegazione dopo i loro colloqui con il presidente della Repubblica. E' probabile che a Mattarella, che intende stringere i tempi della crisi, sarà molto difficile portare a quel tavolo il M5S (malgrado le aperture di Di Maio), come anche la Lega e FdI. Più facile che sia Forza Italia il partito più importante a darsi disponibile alla trattativa. A Silvio Berlusconi, che ha attestato il suo partito sul «no» al governo col Pd, non dispiacerebbe affatto che la legislatura possa andare avanti e magari concludersi, come previsto, nel 2018. Sarebbe quindi disposto a comporre l'altra maggioranza, quella che dovrà decidere sulla legge elettorale. In questo modo le urne potrebbero arrivare dopo l'eventuale la sentenza della sua riabilitazione, ma soprattutto dopo una legge elettorale - la più proporzionale possibile per il Cavaliere - che renda complicata la vittoria del M5S, partito che l'ex premier vede come fumo negli occhi.

Per Berlusconi il governo «deve andare avanti». Come e con chi non interessa al leader azzurro e Paolo Romani, capogruppo azzurro al Senato, lo dice chiaramente, smentendo anche che ci sia in corso una trattativa con Dario Franceschini che tanto irrita l'ex sindaco di Firenze. «Non saremo noi a togliere al Pd le castagne dal fuoco - sostiene Romani - e non c'è nessuna possibilità che FI entri in un governo guidato da Franceschini o da chiunque altro». I boatos di Transatlantico che parlano di un asse privilegiato tra Mattarella e Franceschini hanno irritato ieri il Quirinale secondo il quale «è del tutto sbagliato pensare che possa esserci una soluzione ostile al premier».
Risolti, sia dal lato del Colle che di FI, i sospetti di Renzi per possibili manovre in corso, si comprende come Forza Italia non condizioni la partecipazione al tavolo delle trattative sulla legge elettorale all'inquilino che siederà a palazzo Chigi e che quindi tocca a Renzi decidere se restare o meno.

Da domani sera il cerino è pertanto destinato a tornare al Pd e al suo segretario. Renzi oggi rientrerà a palazzo Chigi e ufficialmente resta convinto di non poterci restare se non per guidare un governo dimissionario in attesa della sentenza della Consulta del 24 gennaio. Ipotesi che però il Quirinale ha già respinto ritenendo questo un periodo troppo lungo durante il quale il governo dovrà invece occuparsi di problemi - a cominciare dalla situazione delle banche - che debbono essere affrontati da un esecutivo nel pieno dei suoi poteri. Toccherà quindi a Renzi, in qualità di segretario del Pd, decidere cosa fare. Se confermare le dimissioni e passare la mano al ministro Paolo Gentiloni, le cui quotazioni sono in salita, o al ministro Piercarlo Padoan. Oppure se restare al suo posto accettando che il presidente della Repubblica lo rimandi alle Camere. Quest'ultima ipotesi sembra prendere quota perché eviterebbe la nascita di un altro governo e verrebbe letta dallo stesso Renzi come un «sacrificio» che è destinato a sopportare «il peso dell'irresponsabilità delle forze politiche» e «solo» in attesa che non si concretizzi in Parlamento una nuova legge elettorale.

Per il premier dimissionario non si tratta di una scelta da poco. Rimanere a palazzo Chigi dopo le dimissioni della notte del referendum gli attirerebbe gli strali delle opposizioni e di un pezzo del partito. Renziani e franceschiniani sono invece convinti che alla lunga pagherebbe il gesto di responsabilità, «per non gettare il Paese nel caos ora e dopo le elezioni». Di fatto il governo resterebbe nella forma attuale, non ci sarebbe, cioè, il bis né le ipotesi del governo tecnico-istituzionale o del governo Gentiloni o Padoan. E verrebbe anche neutralizzata l'ultima carta in mano al Colle. Ovvero affidare al presidente del Senato Grasso il compito di formare un governo che poi andrebbe alle Camere per sfarsi sfiduciare rendendo di fatto Parlamento e forze politiche responsabili di mandare il Paese allo sbando.

EUROPA
La soluzione del rinvio alle Camere non fa fare salti di gioia a Renzi ma piace al Quirinale. Per verificare la fattibilità di questo percorso occorrerà quindi attendere che si esaurisca l'ipotesi del governo di tutti. A quel punto, a seguito di un nuovo colloquio con il Capo dello Stato, Renzi convocherà la direzione del partito per farsi dare il via libera al rinvio del governo in Parlamento o indicare un suo possibile successore e partire per il Consiglio europeo di Bruxelles del 15 che così sarebbe il suo ultimo appuntamento internazionale.

Ultimo aggiornamento: 10:31