Referendum, il ministro Alfano: «Se vince il “no” il governo resta»

Domenica 2 Ottobre 2016 di Marco Ventura
Referendum, il ministro Alfano: «Se vince il “no” il governo resta»
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Da un lato c'è questo governo, «l'unico possibile», dall'altro un fronte «che va da Berlusconi a Zagrebelsky, da Salvini a Vendola e Grillo e dice no al referendum costituzionale del 4 dicembre. Ma quelli che dicono no solo perché puntano a mandare a casa Renzi, tanto vale che votino sì, perché questo governo non andrà comunque a casa», dice il ministro dell'Interno Angelino Alfano.
Il referendum del giorno è in Ungheria, ministro. I sondaggi dicono che gli ungheresi diranno no ai migranti. L'Europa rischia di spaccarsi?
«L'immigrazione può dividere l'Europa, può farla finire o rilanciarla: questa è la prima grande sfida politica dopo decenni in cui non ci si è concentrati sui temi economici e monetari. Il fatto è che nella Ue ci sono in proporzione meno profughi che in Turchia o Libano. La linea dev'essere quella di coniugare umanità e rigore: umanità nell'accogliere chi scappa da guerre e persecuzioni, rigore nel rimpatriare gli irregolari. Purtroppo, l'Europa è debole da entrambi i lati. Non viene incontro all'Italia ricollocando nei vari paesi i profughi come promesso, né riesce a organizzare una seria politica dei rimpatri».
Come dovrà rispondere l'Europa a un eventuale no dell'Ungheria?

«Bisogna rispettare la sovranità di un popolo, ma non consentire che una opinione pubblica nazionale condizioni una Unione composta da centinaia di milioni di abitanti. In questo delicato equilibrio tra sovranità nazionale ed europea è difficile immaginare di imporre decisioni dentro i singoli paesi. Certo, addolora che gli ultimi che in Europa hanno avuto a che fare col dramma della povertà, della privazione della libertà e con esodi verso l'occidente dopo la caduta del Muro, ricordo quanti polacchi abbiamo avuto nelle nostre strade, siano oggi i meno comprensivi rispetto alle difficoltà che stiamo vivendo».
I populismi crescono anche in Italia?
«Il dibattito sul populismo non mi appassiona, rende poco l'idea. Il mix tra crisi economica e crisi dei rifugiati ha determinato la nascita di movimenti di indignati contro le istituzioni e i politici, e di movimenti estremistici di destra. La somma di questi fenomeni in molti paesi europei si colloca intorno al 40 per cento, Italia compresa».
Le tensioni sul Brennero, il referendum svizzero sui transfrontalieri, la linea dura della Francia a Ventimiglia, i paesi dell'Est che chiudono le frontiere... L'Italia resterà da sola in balìa degli sbarchi?
«Il problema non è la solitudine dell'Italia, che è in grado di fare da sola, ma l'inadempienza dell'Europa rispetto agli accordi presi. A noi è stato detto di essere responsabili e di fare una serie di cose: le abbiamo fatte tutte, ripeto t-u-t-t-e! Il foto-segnalamento è ormai del 100 per 100, abbiamo realizzato gli hot spot che ci chiedevano, bloccato le frontiere a nord per impedire ai migranti di arrivare nel Nord Europa, abbiamo fatto un ottimo lavoro alla frontiera con Francia, Svizzera e Austria...».
E in cambio, l'Europa?

«È stato approvato un documento dopo un lungo negoziato per ricollocare decine di migliaia di migranti dall'Italia, ma non è stato attuato. È una cosa gravissima sul piano politico e dei rapporti tra i paesi europei sottoscrivere un patto di quella delicatezza e poi non rispettarlo. Il problema non è la solitudine dell'Italia, è l'inaffidabilità dell'Unione che non rispetta i patti. L'Ungheria non è fra i paesi che si erano resi disponibili all'accoglienza, anzi si è sottratta fin dall'inizio. Segue questa linea da sempre e da sempre noi dissentiamo. Altri hanno detto cose diverse e non hanno mantenuto gli impegni».
Anche sulla missione Eunavformed, rimasta al palo?
«Questa è una delle ragioni che producono la sfiducia nell'Europa. È fondamentale impedire le partenze con una seria azione in Libia e lì dovremmo chiedere di più alla comunità internazionale: azioni decise, visto che quando vollero mandare al camposanto Gheddafi furono decisi. Ci vorrebbe la stessa decisione per chiudere la partita e fare scelte vere in Libia».
Un intervento militare?
«Un'azione molto decisa, coordinata con il governo Sarraj, contro il traffico di esseri umani, poi lo sforzo definitivo per la stabilizzazione».
Domani sarà giornata nazionale per le vittime dell'immigrazione
«Il 3 ottobre 2013 morirono oltre 300 persone a casa nostra e io ho visto qualcosa che auguro a ciascuno di non vedere mai, ossia dentro l'hangar dell'aeroporto di Lampedusa centinaia di sacchi con centinaia di corpi dentro, donne uomini ragazzi ragazze anche bambini. Dentro uno di quei sacchi, di corpi ce n'erano due: una bambina attaccata, abbracciata, alla mamma. Lampedusa, per me agrigentino, era l'isola delle mie vacanze in Vespa. Quel giorno è diventata altro, lì ho deciso che non si deve lasciar morire nessuno, tutti devono essere salvati perché noi siamo la grande Italia, e solo dopo dobbiamo chiedergli se sono profughi o irregolari. Così ci battiamo per redistribuire i profughi in tutta Europa perché in Europa vogliono andare, e lavoriamo per rimpatriare gli irregolari, perché questo è il punto di contatto tra umanità e rigore».
Sull'immigrazione si gioca il futuro anche in Italia?

«La politica italiana ha fatto registrare da un lato che fin qui la prevenzione ha funzionato, garantendo la sicurezza, dall'altro che gran parte dell'opinione pubblica è pienamente consapevole che la nostra scelta di non fare morire nessuno ha messo l'Italia dalla parte giusta della storia».
E allora perché la Lega è cresciuta?
«Da movimento territoriale è diventata di estrema destra, si colloca nel solco degli estremismi di destra europei con cui noi non abbiamo nulla a che fare. Non offrono una sola soluzione e complicano solo i problemi. I loro amministratori, invece di condividere il peso con gli altri Comuni, fanno gli egoisti scaricando l'accoglienza su chi vuol dare una mano».
L'altro tema è il referendum costituzionale del 4 dicembre
«Il referendum è l'ultima occasione per cambiare. Di contro c'è l'estremo tentativo di conservare l'esistente nella speranza di nuocere al presidente del Consiglio. Chi vuol cambiare vota sì, chi vuol conservare vota no. Chi invece condivide il contenuto della riforma ma vota no solo per mandare a casa Renzi, sappia che questo governo non andrà a casa, allora tanto vale che voti sì. Non andrà a casa perché non ha alternative. Il fronte del no mette insieme Berlusconi e Zagrebelsky, Vendola, Salvini e Grillo: non può fare un governo. Quindi questo è l'unico governo possibile».
Ormai si sono formati tre poli. Come assicurare la governabilità?

«Come legge elettorale a noi va bene l'Italicum, ma togliendo una cosa e aggiungendone un'altra: via il ballottaggio, sì al premio alla coalizione, non solo alla lista. Questo garantirebbe la governabilità e al tempo stesso la rappresentanza della reale opinione degli italiani, perché con questi tre poli il ballottaggio rischia di consegnare il paese a chi ha una striminzita minoranza».
Come giudica la prova dei 5 Stelle e della Raggi al Campidoglio?
«Io tifo Roma e dunque non posso tifare per il disastro che è sotto gli occhi di tutti. Un conto è urlare, un altro è governare. Chi ha voluto la bicicletta deve pedalare, e deve dimostrare di saperlo fare. Tanti hanno detto: se sono capaci di governare Roma possono governare l'Italia Be', vale anche il contrario!».
Marco Ventura
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Ultimo aggiornamento: 3 Ottobre, 13:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA