Rottura con i partiti/ La strada in salita dell’uomo che innova più di Trump

Lunedì 8 Maggio 2017 di Virman Cusenza
Rottura con i partiti/ La strada in salita dell’uomo che innova più di Trump

Emmanuel Macron non è soltanto il più giovane presidente della Francia: è anche il primo inquilino dell’Eliseo che abbia vinto a dispetto dei partiti. Macron è un politico sui generis: nato da una costola del governo Hollande, ha mutuato caratteristiche che provengono dalla famiglia socialista ma le ha radicalmente scompaginate riscrivendo i pilastri del programma all’insegna del liberalismo. Questo trentanovenne che scuote la Francia come un ciclone è protagonista di una novità ancora più dirompente rispetto all’ascesa di Trump negli Usa.

Il neopresidente americano è arrivato alla Casa Bianca a dispetto dei repubblicani, lanciando un’Opa ostile nei confronti del partito di riferimento. E lo ha espugnato, costringendone l’establishment a sostenerlo obtorto collo. Questo gli ha consentito di vincere, sfruttando comunque la macchina elettorale repubblicana contro i democratici e assicurandosi al contempo una vasta, per quanto riottosa e divisa, maggioranza parlamentare. A Macron è riuscita un’impresa ancora più complicata e sofisticata: quella di uscire da un governo (socialista) e fondare un partito contro di esso. Anzi, un movimento anti-partiti in questo simile alla rivoluzione di superficie trumpiana. Ma con una differenza: il giovane presidente francese ha svuotato i partiti esistenti, li ha annientati costringendo la classe dirigente più dinamica a passare armi e bagagli con lui per salvarsi.

Nella vecchia Europa è un fenomeno che non esisteva ancora. E ciò distingue Macron da Trump e ne fa capire la portata innovativa. Anche rispetto ad un altro fenomeno moderno e trasversale quale si è rivelata la Le Pen a destra, condannata però - nonostante l’exploit - dalle sue ascendenze nel vecchio partito lepenista del padre e non in grado, nonostante i vistosi sforzi, di rinnegare le radici estremiste e divisive che l’hanno condotta al prevedibile insuccesso.

L’ambizione di Macron però è ancora maggiore rispetto a quella già non piccola di innovare il sistema politico francese. La sfida più ardua sarà quella di trovare una maggioranza adeguata all’Assemblea nazionale per governare il Paese, in questo scontando il prezzo di non avere alle spalle un partito tradizionale. Dovrà insomma rendere strutturale l’annessione degli elettori socialisti e della destra gollista e perfino dei malpancisti di sinistra alla Mélenchon. Una strada in salita, il cui successo o meno decreterà le sorti del mandato presidenziale. Ristrutturare un Paese liberalizzando ciò che oggi è raggrumato in vetuste corporazioni poi sarà la fatica più improba, ma perciò affascinante del suo programma.

Ma la scommessa ancora più complicata per Macron è quella di cambiare l’Europa. Fermare l’ondata euroscettica ed anti-establishment, rilanciando una Unione europea da restaurare dalle fondamenta con la creazione addirittura di nuove figure di cerniera come il ministro delle Finanze unico, è al momento un bel sogno. Per quanto coraggioso. Questa spinta a riformare l’Europa si misurerà anche con il rapporto che Macron vuole creare con la Germania, forse guidata dalla Merkel se la Cancelliera riporterà un successo alle elezioni politiche di settembre. Speriamo solo che la nascita di un asse franco-tedesco non tagli fuori un’Italia più debole e spappolata in tanti partitini. Per l’Europa da ristrutturare non c’è bisogno di un nuovo Direttorio ma di una squadra che non ci veda nelle mai rimpiante vesti di Cenerentola debole e stavolta tenuta fuori dal gran ballo.

Siamo il Paese dei paradossi autolesionistici. Si è detto che Macron all’inizio guardasse all’esperimento di Renzi con molto interesse. Il risultato, a un anno dal debutto di En Marche!, è che oggi discutiamo se esista in natura un Macron italiano. E non il contrario di cui ci si è quasi compiaciuti nel recente passato.

La conquista dell’Eliseo da parte di questo giovane, insomma è un precedente dal quale difficilmente si potrà tornare indietro. Inevitabilmente anche un modello per chi vorrà scardinare gli attuali partiti, e le relative famiglie politiche negli altri paesi europei, svuotarli di consensi che diventeranno trasversali. Insomma, quello che poteva apparire solo come un bricolage intelligente per assemblare pezzi diversi di programma prendendo il meglio da ciascun partito (una sorta di movimento grande-coalizione) oggi appare ciò che si potrà fare concretamente nel mercato della politica: ampliare l’offerta ai cittadini, assemblando in un unico contenitore proposte una volta appannaggio o esclusiva di forze politiche distinte e spesso distanti. Il contrario della rottamazione: la rifondazione della proposta politica attraverso la sintesi originale tra ciò che esiste ( la tutela sociale) e un liberismo inedito (vedi le proposte sul mercato del lavoro).

Perché questa operazione in Italia non sia riuscita, pur fatte le debite differenze, è presto detto. Macron, approfittando del fallimento di Hollande e della crisi socialista, ha costruito un’altra casa rifondando il campo e allargandone i confini. Renzi, pur meritoriamente tentando di liberare il Pd dalle scorie post-comuniste, alla fine si è ritrovato chiuso nel recinto del partito democratico (tra l’altro svuotato della sinistra di Bersani). Un percorso che ci dimostra quanto la situazione italiana sia assai più complicata di quella francese. Certo l’operazione Macron è facilitata da una legge elettorale uninominale a doppio turno di collegio che semplifica un caos e una frammentazione francese non dissimili altrimenti dal marasma italiano. Ma è la radicalità dello strappo rispetto alle radici socialiste, la sua violenza liberatrice, che oggi premia il neo presidente e ne fa il pioniere di una nuova politica.

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Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 19:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA