La Libia e il dialogo necessario per controllare i flussi migratori

Martedì 15 Agosto 2017 di Marco Ventura
Da chi se non da un ambasciatore nel pieno dei poteri possono essere difesi gli interessi dell’Italia? È stata quindi una scelta necessaria quella di rimandare l’ambasciatore al Cairo. 

Una decisione forse addirittura tardiva quella di mandare in Egitto l’ambasciatore italiano designato, Giampaolo Cantini, ottimo diplomatico, molto esperto, per occuparsi in prima persona del “dossier Regeni” e perseguire una verità ancora lontana, ma anche per tutelare oltre ai diritti individuali quelli dell’intera comunità italiana in Egitto e delle nostre imprese impegnate in rapporti bilaterali importanti. 
Ma c’è di più. Senza la ripresa di un dialogo al più alto livello con il generale Al Sisi e le autorità egiziane, l’Italia avrebbe continuato a non poter contare sulla collaborazione o almeno l’interlocuzione con un protagonista assoluto della politica nordafricana e mediorientale. Dialogo decisivo anche e soprattutto per la soluzione della crisi libica. La chiave per una ritrovata stabilità e unità della Libia, e il successo di una politica migratoria e di sicurezza italiana nel Mediterraneo, passa per il Cairo che ha finora appoggiato, “contro” il sostegno italiano a Al Sarraj, il generale Haftar, uomo forte di Bengasi. 

Anche per questo l’invio dell’ambasciatore Cantini era stato caldeggiato sulla prima pagina di questo giornale dal nostro Fabio Nicolucci. Sì, sul caso Regeni il governo dovrà pretendere risposte nette e definitive, che non guardino in faccia nessuno. Certo, non saranno lasciati soli i genitori di Giulio barbaramente ucciso in un contesto che sempre più porta verso ambienti parastatali. Ma questo si potrà fare avendo al Cairo, di nuovo, un rappresentante con le credenziali a posto, titolato dalla fiducia che si deve a chi rappresenta l’Italia. Non poteva essere solo un incaricato d’affari a farsi portavoce dell’insofferenza per le reticenze nelle indagini (ieri l’invio dell’interrogatorio di alcuni poliziotti alla Procura di Roma ha generato il passo in avanti nella cooperazione giudiziaria che ha convinto il governo a riallacciare i rapporti con l’Egitto).
 
Col ritiro dell’ambasciatore Maurizio Massari dal Cairo l’8 aprile 2016, l’Italia che con l’Egitto aveva un rapporto privilegiato decise di segnalare l’indignazione per i colpevoli silenzi sulle complicità degli apparati di sicurezza egiziani nell’omicidio. Da allora è passato quasi un anno e mezzo e il vuoto lasciato da noi è stato parzialmente colmato fra gli altri dai francesi, sia sul piano economico sia su quello politico. E gli sforzi del governo Gentiloni per puntellare un governo di unità nazionale a guida Al Sarraj in Libia sono stati minati dalla saldatura tra Francia, Egitto, Russia e Emirati Arabi Uniti attorno a Haftar. 

Bisognava a ogni costo spezzare un meccanismo infernale che significava per noi l’impossibilità di chiudere il cerchio della nostra difficile strategia libica. Ne va dell’interesse nazionale e, viste le conseguenze in Italia delle ondate migratorie dalla Libia, della nostra stessa coesione sociale. I genitori di Giulio ritengono che la dignità, loro e dell’Italia, sia stata calpestata e l’invio di un verbale d’interrogatorio non sia moralmente sufficiente a far rientrare al Cairo l’ambasciatore. Con tutto il rispetto per il loro dolore, il governo italiano ha dimostrato in ogni modo la sensibilità per il diritto alla verità. Ma anche nell’interesse della verità su Regeni, lasciare vacante la sede del Cairo sarebbe stato un errore. Allora buon lavoro all’ambasciatore Cantini. Non sarà facile riallacciare un rapporto con l’Egitto, colmare un vuoto di quasi un anno e mezzo. E ottenere finalmente la verità sulla morte di Giulio.
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