Terremoto, a Visso anche i più coraggiosi si arrendono al mostro

Lunedì 31 Ottobre 2016
Terremoto, a Visso anche i più coraggiosi si arrendono al mostro
dal nostro inviato Renato Pezzini
La provinciale per Visso è chiusa, la scossa delle 7.40 ha indebolito un viadotto e bisogna fare un percorso alternativo. Al chilometro 79 la casa cantoniera è lì lì per collassare, ma fino all'altro ieri sembrava solida e stabile; a Piè Casevecchie due casolari non hanno più il tetto; a Villa Sant'Anna si procede a rilento perché tre case sono crollate e le macerie sono sull'asfalto; il salumificio Vissano che fino a sabato pareva integro adesso è un edificio bombardato. Ma le ferite più profonde sono quelle che colpiscono cuore e mente degli sfollati.

Questo rabbioso stillicidio di scosse è come una tortura. Appena il tempo di tornare a respirare che subito arriva un'altra frustata, più crudele della precedente. Le energie vengono meno, la capacità di resistenza si fiacca. Ed è come se morisse ogni speranza di potercela fare: «Dobbiamo ricominciare tutto da capo» biascica, esausto, il sindaco di Visso. Ricominciare da capo come dopo il 24 agosto, come dopo il 26 ottobre. Con la sensazione che fra un'ora o fra un giorno tutto possa nuovamente essere azzerato.

LA RESA
Anche quelli che avevano deciso di presidiare il loro paese e le loro case sbrindellate non hanno più forze. Dopo tre giorni accampati negli spogliatoi del campo sportivo di Visso dicono basta. A metà pomeriggio caricano borse piene di vestiti e di coperte in macchina, si stringono sui sedili, e partono. Ventidue auto che si muovono in colonna, come profughi in fuga da una guerra che li insegue e non dà tregua. Un esodo di disperati che abbandona il campo: «Tanto qui non possiamo più far nulla».

Amerigo Paternese prova a rincuorare la moglie, terrorizzata dall'idea di mettersi in viaggio lungo una strada piena di insidie e di incognite. «Il terremoto del 24 agosto ha reso inagibile la nostra casa. Ma ne avevamo trovata un'altra, e sembrava solida. Dopo le scosse di mercoledì ce ne siamo andati pure da lì, ma solo per precauzione. Stamattina siamo tornati a vederla da fuori». C'erano crepe dappertutto, davanzali pericolanti, muri «spanciati». Per Amerigo e la moglie la consapevolezza della fine.
La meta di questa carovana di profughi è un albergo della costa adriatica, a Porto Sant'Elpidio, dove poter trovare un po' di pace dopo notti col fiato in gola e gli occhi sbarrati. Specialmente l'ultima notte, scandita da scosse sempre più rabbiose fino a quella delle 7.40. L'arroganza e la violenza del terremoto hanno vinto e adesso Visso è un paese popolato solo da uomini in divisa. Una delle più belle palazzine del paese è crollata, un bell'edificio rosa di inizio 900 che non c'è più e le cui macerie hanno una sola utilità: fare da sfondo alle dirette televisive.

AUTO IN COLONNA
La colonna di auto scende verso valle. A Pievetorina transita davanti alla piazza dove mezzo migliaio di persone sono in assemblea col sindaco. L'umore generale è pessimo. Sono venuti i funzionari della Regione Marche con l'intenzione di sbaraccare tutto e di evacuare il paese «perché le case sono quasi tutte inagibili». Da giorni molti hanno già scelto di svernare negli alberghi sul mare. Molti altri non vogliono saperne: «Portateci i container, vivremo lì e così non faremo morire il paese» dice per tutti Manuele Lacucci, consigliere comunale.

L'assemblea va avanti fino all'imbrunire, contrappuntata da nuove scosse che fanno ballare l'asfalto e traballare la fiera resistenza di chi non vuol partire. Angelo Di Benedetto, artigiano che lavora l'ottone, ascolta tutti, ma quel che ha da dire lo dice fra sé: «Ma chi se la sente di restare qui con questo bombardamento che non finisce più?». Quando si sciolgono le file, nella piazza arriva il pullman che porterà i volontari negli hotel di Civitanova, e se ne riparte senza posti liberi.

CAMERINO
Ancora più a valle ecco Camerino. Sabato il sindaco aveva fatto intendere che una parte della zona rossa (cioè il centro storico) sarebbe potuta essere riaperta a breve. Poi è arrivata l'alba di domenica a ricacciare indietro le belle speranze e i buoni proposti. Quelli che ancora avevano una casa in cui dormire si sono trovati catapultati in strada, fianco a fianco con quelli che da mercoledì passano le notti in macchina. Davanti ai loro occhi l'immagine della nuvola di polvere che, là in alto, si alzava dal centro storico illuminato dal primo sole. E allora, anche qui, valigie e pacchi nel bagagliaio, sacchi a pelo stesi sui sedili, e via. Da Camerino giù alla superstrada, accodandosi ad altre auto in colonna dirette al mare per fuggire da un nemico che adesso pare invincibile.