Il fenomeno/ La nuova faglia dopo Amatrice

Giovedì 27 Ottobre 2016 di Enzo Boschi
Le scosse di magnitudo 5.4 e due ore dopo 5.9 sono state sentite benissimo in molte parti d’Italia. Dopo un sisma di magnitudo 6.0 l’esperienza insegna che c’è sempre da aspettarsene qualche altra di quell’entità anche secondo regole ben collaudate. Una scossa più o meno della stessa entità si ebbe anche poche ore dopo il terremoto del 24 agosto. E non sono da escludere onde decisamente più forti.
Le scosse di magnitudo 5.4 e 5.9 di ieri, infatti, sono sicuramente da considerare una continuazione dinamica di quanto è avvenuto il 24 agosto. 
La zona sismogenetica è sempre la stessa. Diversa è la superficie di frattura che costituisce il meccanismo del terremoto. Quindi è una nuova faglia che si è attivata sollecitata dalla redistribuzione della deformazione conseguente al terremoto di Amatrice. 
Un terremoto è una frattura che si propaga sulle rocce crostali con una velocità di qualchechilometro al secondo. Alla frattura si associano spostamenti di grandi masse crostali che modificano in modo sensibile l’equilibrio dell’intera struttura geodinamica. Questo determina anche le numerose scosse successive. Generalmente le sequenze che si verificano dopo scosse di magnitudo 6 in Appennino, come sappiamo dalle esperienze degli ultimi decenni, durano cinque o sei mesi. 
In Irpinia nel 1980 le scosse durarono circa un anno e mezzo, ma la scossa principale ebbe una magnitudo 7, estremamente più energetica e devastante.
Quest’ultima scossa è finora l’ultimo episodio dell’attività estremamente intensa dell’Appennino Centrale che, tanto per intendersi, possiamo far cominciare dal terremoto di Norcia del 1979. 
In realtà la sismicità è incessante: c’è sempre stata e sempre ci sarà. Il livello delle conoscenze che abbiamo conseguito a partire dal terremoto dell’Irpinia del 1980, quando lo Stato si impegnò seriamente a difendersi dai terremoti creando la Protezione Civile e potenziando l’Istituto Nazionale di Geofisica, ci consentono una visione meno passiva dell’evoluzione sismica del nostro Paese.
Per esempio dopo la sequenza sismica dell’Umbria-Marche del 1997-98 e quella più recente abruzzese del 2009 era immaginabile che si sarebbe attivato il segmento, rimasto intatto fra le due zone epicentrali, ma che era stato sede di forti terremoti nei secoli passati. Questo tipo di considerazioni si spera che potrebbe portarci un giorno non tanto a prevedere i terremoti in senso stretto ma a stabilire una logica più ferrea sugli interventi per ridurre drasticamente il numero delle vittime. 
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