Traffico di armi con Libia e Iran:
arrestati due napoletani convertiti all'Islam

Martedì 31 Gennaio 2017 di Leandro Del Gaudio
Traffico di armi con Libia e Iran: arrestati due napoletani convertiti all'Islam

Il Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, su ordine della Dda di Napoli, sta eseguendo nelle province di Roma, Napoli, Salerno e L'Aquila il fermo di quattro persone indiziate di traffico internazionale di armi e di materiale dual use, di produzione straniera.

Si tratta di tre italiani e un libico accusati di aver introdotto, tra il 2011 e il 2015, in paesi soggetti ad embargo, quali Iran e Libia, in mancanza delle necessarie autorizzazioni ministeriali, elicotteri, fucili di assalto e missili terra aria.
 

Due italiani convertiti all'Islam e radicalizzati, una coppia di coniugi di San Giorgio a Cremano, sono tra i destinatari dei provvedimenti di fermo disposti dalla Dda di Napoli. Si chiamano Mario Di Leva, convertito all'Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana, ex assessore del comune di San Giorgio. Indagato anche il loro figlio, Luca. 



L'indagine, coordinata dai pm Catello Maresca, Maurizio Giordano e Cesare Sirignano, oggi alla Dna, riguarda un traffico di armi destinate sia a un gruppo dell'Isis attivo in Libia sia all'Iran. Agli atti dell'inchiesta c'è anche una foto in cui la coppia è in compagnia dell'ex premier iraniano Ahmadinejad.
 
 

Dalle intercettazioni sarebbero emersi presunti contatti tra i coniugi di San Giorgio a Cremano e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia nel 2015. La circostanza sarebbe venuta alla luce da alcuni sms di poco successivi al sequestro in cui i coniugi facevano riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima, alludendo a loro come autori del rapimento. Il sequestro si concluse, a marzo del 2016 con la morte di due italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a fuggire. 

Tra i quattro destinatari dei provvedimenti figura anche l'amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, Andrea Pardi, già coinvolto un un'altra inchiesta su traffico di armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia. L'ultima misura cautelare riguarda un libico, attualmente irreperibile.

Oltre ai quattro provvedimenti di fermo, sono state eseguite dieci perquisizioni nei confronti di altrettante persone per ipotesi di reato riconducibili al traffico internazionale di armi e di materiale dual use, di produzione straniera.

 
 

Una fornitura di 13.950 M14, oltre a una eliambulanza convertibile ad uso militare, elicotteri di assalto sovietici MI-17, tre elicotteri Mangusta A129 e missili di vario genere: era una delle forniture, non andata in porto per «cause indipendenti dalla loro volontà» destinate al governo provvisorio libico nel marzo 2015. È quanto emerge dai capi di imputazione contestati nell'ambito dell'inchiesta sul traffico di armi condotta dalla Dda di Napoli. Tale accusa è contestata a Mario Di Leva, detto Jaafar dopo la conversione all'Islam, alla moglie Annamaria e ad Andrea Pardi, amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, tutti destinatari del provvedimento di fermo.

Il secondo capo di imputazione riguarda la fornitura di armamenti di produzione sovietica, tra cui missili anticarro e terra-aria: reato contestato alla coppia di coniugi e al libico Mohamud Alì Shaswish, latitante.

L'esportazione in Iran di pezzi di ricambio di elicotteri per la somma di 757.500 euro, attraverso una società panamense: è un'altra accusa contestata ai coniugi. Nella vicenda risulta indagato anche il figlio, Luca Di Leva, che avrebbe messo a disposizione un conto corrente sul quale fu versato una acconto di 100mila euro (episodio risalente al 2011). Trattative commerciali per l'introduzione in Iran di materiali per la produzione di munizioni. È l'ultimo capo di imputazione contenuto nel decreto di fermo della Dda di Napoli. Anche in questo caso l'affare non sarebbe andato in porto per «cause indipendenti» dalla volontà degli indagati. Gli inquirenti sottolineano che sia la Libia sia l'Iran sono Stati sottoposti a embargo internazionale su decisione del Consiglio dell'Unione Europea.

 
 

La prima fase dell'odierna operazione ha avuto avvio nel giugno 2011, su input del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, in relazione a un precedente procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Napoli dalla quale è emerso che una persona organica ad un clan camorristico dell'area casalese era stato contattato da un appartenente alla cosiddetta «mala del Brenta» con precedenti specifici per traffico di armi. Quest'ultimo ricercava, infatti, persone esperte di armi ed armamenti da inviare alle Seychelles per l'addestramento di un battaglione di somali, che avrebbero dovuto svolgere attività espressamente qualificate come «mercenariato». 
 

Le attività di indagine al tempo svolte, sfociate in diversi procedimenti penali, consentirono di evidenziare come la richiesta di addestramento fosse stata originata da una persona di nazionalità somala, con cittadinanza italiana, parente del deposto dittatore del Puntland (Somalia).


Attraverso gli appunti rinvenuti nel computer di Mario Di Leva, fermato nell'ambito dell'inchiesta sul traffico di armi, si fa riferimento a un incontro con Hamed Margani, indicato come rappresentante di Abdel Hakim Belhaj. Quest'ultimo - si legge nel decreto di fermo - è considerato «combattente islamista e comandante dei ribelli anti Gheddafi della guerra civile libica iniziata nel 2011». «È un noto combattente islamista - scrivono i magistrati - ed è stato membro del Gruppo dei combattenti islamici libici, nonché indicato come capo del Daesh in Maghreb».


 

Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 20:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA