Toh, chi si rivede: Grillo che come nel 2018 ha deciso che la campagna elettorale la fa lui da guru e da star (in attesa del Dibba e quai al posto di Conte che non stima e che non ama) e se non attraverserà a stile libero lo Stretto di Messina come per le regionali 2012 ha pronte altre trovate.
Insomma, la nostalgia canaglia come cifra di una battaglia che dovrebbe essere nuova e il riflesso condizionato del passato che s'appropria di una scena che avrebbe bisogno di maggiore creatività. E invece, riecco i soliti attacchi dei media stranieri (il Finacial Times e altri ne seguiranno) sull'inaffidabilità italiana appena si sente odore di vittoria del centrodestra. O la continua insistenza retrospettiva di Letta e non solo sua sull'Agenda Draghi e via dicendo: non è vintage riproporre un'esperienza che, purtroppo, s'è appena esaurita? Del resto il vintage spopola nella moda, nelle canzoni (Orietta Berti e Gianni Morandi non demordono), in architettura e non si vede perché la politica non possa appropriarsene. E così, questa campagna elettorale lampo è partita con l'occhio all'indietro, più come riproposizione del già dato e del già visto piuttosto che come freschezza (si capisce che con 40 gradi centigradi è difficile) di persone, di idee e di format. Riecco Salvini ma soprattutto riecco il rosario di San Matteo e le madonne raffigurate alle sue spalle nell'intervista al Tg1 e lui che in modalità retropia come tutti quanti non vuole andare fare il ministro della transizione ecologica nel prossimo governo ma, indovinate un po', di nuovo il titolare del Viminale e così si ricomincia con gli sbarchi negati, «l'io difendo i confini della patria e primaglitaliani». Cambiare tutto per non cambiare niente? Lo schema di gioco di Letta sembra ricalcato dall'Ulivo 1, 2, 3: l'unione sacra di chiunque disprezza la destra per salvarsi dalla destra.
A TUTTA GAD
Oppure sembra di essere tornati, e per di più in piena estate quando andrebbe propinato qualcosa di fresco, alla Gad. Fu la Grande alleanza democratica, dell'anno 2005. Sempre lì stiamo e la nuova Gad potrà avvalersi della presenza di Calenda o no? Meglio avere dentro Carletto, anche se lui vuole stare fuori, o Renzi che magari porta qualche voto o magari ne toglie più di quelli che porta? Anche l'anti-renzismo semi-agostano di certo Pd ha il retrogusto del vintage. Ancora a dividersi su Matteo? Evidentemente il passato è più rassicurante del futuro. Prendiamo il caso dei talk show. Stavamo per liberarcene, nel senso che perfino gli stessi tenutari del circo cominciavano a chiedersi se la formula non fosse logora e invece, mannaggia: piombano le elezioni e i talk show non solo non spariscono ma si rilanciano e piazzano se stessi anche nel palinsesto d'agosto. Sempre uguali e sempre vecchi, come la politica che vorrebbero narrare e che a sua volta non ha trovato un altro modo per narrare se stessa. Il programma del Pd e affini è quello di «diminuire le diseguaglianze». Mai sentito, no? E Berlusconi che vuole dare le pensioni di mille euro alle casalinghe? Questo sì che è inedito! L'importante, appunto, è guardare indietro, e lo fanno tutti i protagonisti in gioco a riprova che tra una vecchia Pontida (il 18 settembre, giusto una settimana prima del voto) e le solite feste dell'Unità in cui si paventerà la Marcia su Roma della Duciona (che sarebbe Giorgia) il futuro non è adesso o poi ma è mai.