Navalny, a Roma piazza bipartisan. La Lega con Calenda: Mosca regime autoritario

Politica unita nel ricordo del dissidente. Fischiati i rappresentanti del Carroccio

Martedì 20 Febbraio 2024 di Mario Ajello
Navalny, a Roma piazza bipartisan. La Lega con Calenda: Mosca regime autoritario

 Le persone comuni, i cittadini democratici, i romani che amano la libertà per tutti. Sono questi i veri protagonisti - fiaccola in mano, foto del martire russo sul petto, sguardo dolente, indignatissimo e preoccupato - della manifestazione pluripartisan, una volta tanto unitaria e corale al netto di qualche screzio con i leghisti, in onore di Navalny. La gigantografia del martire anti-putiniano sulla Piazza del Campidoglio, davanti a una bella prova di civiltà da parte dei cittadini.

Duemila? Anche di più. Non ci sono bandiere di partito, anche se ci sono le delegazioni di tutti i partiti (ridotta quella dei contiani: i capigruppo Silvestri e Patuanelli oltre a Paola Taverna). E non si vedono neppure vessilli russo mostrificati (esempio: grondanti di tintura rosso sangue o con Putin con baffetto hitleriani o baffoni stalinisti) né bandiere ucraine blu e gialle. Solo tre pezzi di stoffa bianchi e celesti che simboleggiano lo Stato di Israele. 

Carlo Calenda, l’organizzatore, evita di fare la star. Non parla dal palco, e anche per questo decine di partecipanti lo vanno a ringraziare: «Così si fa. Il protagonismo dei politici è insopportabile». Lui sta appoggiato alla balaustra della scalinata michelangiolesca, fa le foto, twitta: «Che bella piazza, è un messaggio di unità nella libertà. Per il popolo russo e per l’Europa». Con lui Richetti, Carfagna e gli altri di Azione. La foto di Calenda con Schlein (l’altra leader di partitoin piazza insieme alla capogruppo Chiara Braga, gli ex ministri Orlando e Provenzano, il senatore Filippo Sensi e tanti altri dem) ma il colpo d’occhio è la grande mescolanza in nome di una comune battaglia per la dignità delle persone e per il futuro di tutti noi che si gioca anche nel contrasto all’autocrazia russa. Così dicono quelli di FdI, tanti anche loro: Fabio Rampelli, i capigruppo Foti e Malan, il senatore De Priamo e un’altra quindicina di meloniani. Poi i forzisti (Tajani è a Bruxelles dove ha visto la vedova di Navalny), qualche renziano, il nutrito gruppetto di Noi Moderati, Landini e Sbarra dei sindacati, i rosso-verdi Fratoianni e Bonelli. Per non dire dei radicali guidati da Riccardo Magi: «Bene la partecipazione di tutti, se non è furba e ipocrita. Ma ci sono state responsabilità politiche di fiancheggiamento a Putin». Ci sono poi il ministro Abodi e l’ex ministro finiano Terzi di Sant’Agata. C’è Pier Ferdinando Casini che osserva: «Siamo qui per gli eroi della libertà. Per fortuna noi abbiamo la libertà possiamo scegliere tra Schlein e Meloni». 

 

UNITÀ NELLA DIVERSITÀ

Una dimostrazione pratica di come la politica dovrebbe essere: unità nelle diversità. Tra i primi ad arrivare, il capogruppo leghista Romeo. Non fa in tempo a piazzarsi sotto la statua di Marco Aurelio - che un po’ gli ispira saggezza: «Anche per noi quello di Putin è un regime autoritario. E parlavamo bene di lui quanto tutti in Occidente apprezzavano le sue capacità di mettere la Russia in contatto con il nostro mondo» - e subito viene contestato. «Vai via», «Torna all’hotel Metropol», «Sparisci con Salvini a goderti i rubli di Putin». Qualche fischio. E Romeo replica ai sette o otto contestatori: «State trasformando una manifestazione per la libertà in un attacco alla Lega alla vigilia del voto europeo. Una cosa squallida». Con lui c’è il senatore Andrea Paganella, andava con Salvini (era suo caposegreteria) a Mosca: «L’accordo tra la Lega e Russia Unita? Non lo abbiamo mai fatto, è una bufala!». Poi: «Ci sono sospetti su Putin per la morte di Navalny, ma nessuna certezza». Altri buuuu: «Vergogna! Vattene!!!». Ma vabbè: Romeo resta e restano tutti. La Schlein: «Il regime russo è il solo responsabile dell’uccisione di Navalny». Sotto le foto del martire russo vengono accesi i ceri. E a parlare dal palchetto sono due ragazze e un ragazzo russi. Una delle due, Tatiana, dice: «Siamo tutti in pericolo, anche noi che siamo scappati dalla Russia. Putin è un criminale che può colpirci anche in Italia». C’è chi piange. C’è chi trema guardando il figlioletto che ha portato in piazza sul passeggino: «Che mondo avranno questi bimbi, se non fermiamo la barbarie di Putin e di Hamas?». 

Il sindaco Gualtieri si rivolge ai russi sotto il gioco dittatoriale e alla vedova Navalny: «Non siete soli. La nostra voce si unisce alla vostra nella condanna più ferma». In piazza 35 delegazioni diplomatiche, gli ambasciatori degli Usa, Francia, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Malta, Romania, Grecia, Finlandia, Lituania, Latvia, Slovacchia, Svezia, Repubblica Ceca, Albania, Norvegia, Macedonia del Nord, Montenegro. Portano tutti i fiori. Non si fa che parlare di rinominare in onore di Navalny via Gaeta, dove c’è l’ambasciata russa. E non si fa che dire, in questa piazza che Meloni segue da fuori e apprezza, che Putin riceve Hamas, stringe accordi pre-nucleari con Teheran e usa galera e morte contro gli avversari. Roma, e il Paese che rappresenta, ecco il senso della piazza di ieri, non sono con lui.

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