Bocche cucite, telefoni che squillano a vuoto per tutto il pomeriggio. Finché alle 19 prende la parola lui, Giuseppe Conte. Certificando un flop ancor più duro da mandare giù rispetto alle previsioni più nere della vigilia. «I risultati delle amministrative non ci soddisfano», dice il presidente M5s da solo di fronte ai microfoni, il volto tirato mentre spiega che «le amministrative sono state sempre un tabù per il Movimento, a parte qualche tornata come Torino e Roma nel 2016».
Comunali 2022, centrosinistra. Letta testa il campo largo. «Solo uniti si può vincere»
Il flop M5s
Ma, mette in chiaro Conte, «non sono qui per nascondermi»: il M5s «è in ritardo sul progetto di rilancio». Ritardo che l’ex avvocato del popolo motiva con «la vicenda del tribunale di Napoli», dov’è in corso il processo che decreterà la sopravvivenza della sua leadership. E poi «ci sono state resistenze interne, che hanno rallentato la nostra azione». Parole che è difficile non leggere come una frecciata a Luigi Di Maio e ai suoi fedelissimi, che da mesi non perdono occasione per smarcarsi dall’avvocato. Annuncia una «riorganizzazione interna», l’ex premier, salvo mettere in chiaro: «Nessuna ripercussione nel rapporto col Pd», con il quale comunque non si è «mai parlato di alleanza strategica». Altro che campo largo sognato da Enrico Letta.
I RISULTATI
Quello che va in scena negli uffici di Campo Marzio, quartier generale dello stato maggiore grillino, è il copione di un film già scritto.
IL REDDE RATIONEM
Che in ogni caso qualcosa si debba cambiare, in casa Cinque stelle, nessuno ha la forza di negarlo. E chi non commenta a taccuini aperti si lascia andare in anonimato: «Una riflessione sulle scelte degli ultimi mesi bisognerà aprirla», mette in chiaro un deputato dimaiano. Sull’alleanza col Pd o sulla leadership di Conte? «Su tutto», risponde l’onorevole: «Le poche roccaforti rimaste non ci sono più». E la colpa è dell’attuale presidente? «Mettiamola così: un’identità sbiadita è peggio di una marcata». Basterà la «riorganizzazione» annunciata da Conte (di cui oggi dovrebbero essere illustrati i contorni) a ritrovare l’identità? Più d’uno è pronto a scommettere di no. Perché con i sondaggi sempre più impietosi e il taglio dei parlamentari alle porte, gli animi, nelle truppe stellate, non sono mai stati tanto avvelenati. «Morire è un conto, ma morire piddini sarebbe il colmo», trova la forza di scherzare un altro deputato, non tenero con l’attuale leader. Dunque si affilano i coltelli, in attesa del redde rationem. Con un’incognita: quella sentenza del tribunale di Napoli sulla nomina di Giuseppe Conte. Un appuntamento che potrebbe scombinare le carte un’altra volta. E assestare il colpo di grazia alla leadership già ammaccata dell’ex premier.