L'OPINIONE

Giovedì 25 Maggio 2017
Leggo sul Gazzettino di ieri del caso di una mamma che ha chiesto il permesso al Comune di utilizzare una parte del Campo di San Giacomo dell'Orio per la festa per i sei anni della figlia e che i vigili lo hanno negato. Non occorre guardare i fogli delle stampe settecentesche e neppure le vecchie fotografie di Ongania, Bohm e Alinari per accorgersi che le corti veneziane, i campi ed i campielli sono sempre stati utilizzati per giochi e mestieri. Infatti quelli della mia generazione sicuramente ricordano i giochi poveri fino agli anni Sessanta: bambini e bambine giocavano a massa e pindolo (una specie di baseball nostrano), palla prigioniera, campanon; disegnavano per terra e facevano accovacciati le gare con i cimbali (i tappi di bottiglia riempiti di cera), occupando i campi nei pomeriggi dopo la scuola e nelle lunghe estati senza vacanze. Materassai, arrotini, ombrellai, calzolai, impiraresse (le ragazze che infilavano perle e perline) riempivano addirittura calli e campielli esercitando questi antichi mestieri. Chi aveva un sandolo lo tirava su in riva (in secca, così si diceva allora) per dipingerlo e ridipingerlo, soprattutto il fondo, con speciali vernici. La sera nelle calde estati, in cui era ancora sconosciuta l'aria condizionata, i vecchi di allora appostavano le loro seggiole davanti le porte di casa, fosse una calle o una corte, e facevano campiello. Ma in certi sestieri, soprattutto a Castello, la sera si mangiava all'aperto portando da casa sedie e tavoli e naturalmente le vivande.
Una Venezia scomparsa. Una Venezia povera e che in fondo non va rimpianta.
Ma è una Venezia che testimonia l'uso storico degli spazi pubblici. Quella dei campi, campielli e corti è una delle grandi intuizioni e realizzazioni dell'urbanistica veneziana con gli edifici (siano palazzi o siano semplici case, cioè sia un'edilizia maggiore sia un'edilizia minore) che affacciano direttamente negli spazi pubblici da cui non sono separati, se non in rarissimi casi, da giardini e cancelli, cosicchè il luogo aperto è la naturale continuazione dell'edificio. Questa funzione, cioè quella di uno spazio come appendice dell'edificio, non è stata mai contrastata cosicchè lungo i secoli nessuno ha mai obiettato rispetto ad un uso effettivamente collettivo, e fra i mille esempi che si potrebbero ricordare basterebbe quello del famoso campiello goldoniano. Finisco qui con questa annotazione, augurandomi che la brava e diligente mamma possa finalmente organizzare la festa per la sua piccola, ma sarebbe interessante sviluppare il tema in un'altra direzione. Siamo proprio sicuri che il Comune sia l'esclusivo titolare di questi spazi pubblici (i plateatici), concessi in modo dilagante? È evidente che il fenomeno è inarrestabile, però se ne potrebbe discutere.
* avvocato
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