Quel ricordo di Tramarin sul Forte di Pieve di Cadore

Sabato 24 Giugno 2017
Quel ricordo di Tramarin sul Forte di Pieve di Cadore
Una scritta composta e curata, nera, in stampatello, consegnata a un muro bianco nella prima stanza a destra del Forte di Monte Ricco, a Pieve di Cadore.
Porta la memoria di Angelo Tramarin di Trecenta che era un militare di guardia al Forte dolomitico.
Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale e Tramarin, 38 anni, di Trecenta, compiva il suo servizio di vedetta al Forte.
A imbattersi in quella scritta, 76 anni dopo, è stato Alessandro Sambini, di Trecenta, artista. Che in quello stesso Forte, fresco di restauro, nel cuore di un'estate di eventi, mostre, residenze e lavori firmati Dolomiti Contemporanee, inaugurerà la seconda parte della sua opera Grand Tour.
«Durante un sopralluogo, a marzo - racconta Sambini - ho notato quella scritta. Non era stata cancellata come tante altre. Era ancora lì. Bella, curata, quasi fosse un timbro o uno stemma. Trecenta è il mio paese, mio e di Angelo Tramarin. Così ho chiamato mio padre Gianpaolo che vive tuttora a Trecenta e gli ho chiesto di indagare se esisteva un Angelo Tramarin in paese».
Cosa ha saputo? «Che ovviamente non esiste, ma vi abita Michela, sua nipote, la quale ha risposto emozionata alla mia email. Angelo era suo nonno. E questa è la sua storia. Nato in Brasile nel 1904 tornò in Italia e allo scoppio della seconda guerra mondiale venne chiamato sotto le armi. Di stanza a Santa Caterina, frequentò il Cadore. In una lettera citava Pieve per la sua buona cucina, una conferma in più che c'era stato e che quell'Angelo del Forte era proprio lui. In principio ho pensato potesse essere ancora vivo, ma in realtà è scomparso a metà degli anni Settanta. Suo figlio invece, al quale inviava quelle lettere dal Cadore, verrà con l'intera famiglia per rivedere quella scritta e ritrovarsi a tu per tu con quel Ricordo del padre».
Da artista a storico il passo è stato breve anche per Sambini.
«Un artista vive di stimoli, di suggestioni. Storie normali e nel contempo misteriose come questa, ne sono intrise. Storie a cui la fantasia non arriverebbe mai, la realtà invece a volte ce la fa. Lavorare al Forte, per il Forte, significava lavorare anche per quella scritta, per ricongiungerla ai suoi parenti».
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