L'ipotesi delle dimissioni del sindaco di Rovigo Massimo Bergamin continuano a circolare con insistenza. Il diretto interessato ha smentito categoricamente, così come di avere in mente di candidarsi alle prossime elezioni politiche. Non è un mistero che Bergamin abbia a più riprese accarezzato l'idea di approdare a Roma. E anche fra i suoi alleati, più d'uno non farebbe le barricate per trattenerlo. Lo scontro con l'assessore regionale Cristiano Corazzari, che ha mal digerito l'epilogo della vicenda della fusione fra Polesine acque e Cvs, non sembra aiutarlo. L'inatteso muro del gruppo consiliare leghista che ha firmato compatto per la richiesta della commissione d'inchiesta sulla Fattoria, seminando zizzania nella maggioranza e non favorendo il sindaco, può essere una carta che può essere utile al gioco di Bergamin. Per potersi candidare il sindaco di un Comune sopra i 20mila abitanti deve cessare dalla carica 180 giorni prima delle elezioni. Ancora non si sa quando si voterà, ma i tempi sono stretti. La Lega deciderà le candidature dopo il referendum e potrebbe essere tardi. A meno che non arrivi un'investitura anticipata. Ieri il Giornale ha fatto salire le quote della candidatura di Bergamin in un articolo sui blindati di Salvini per il Parlamento: «In ascesa, nel borsino leghista si legge - pure qualche sindaco della nuova generazione delle felpe. Tipo Susanna Ceccardi, sindaco di Cascina, e Massimo Bergamin, sindaco di Rovigo, considerato il proconsole di Salvini in Veneto». Se così fosse, Rovigo potrebbe doversi trovare un nuovo sindaco.
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