Zaia: autonomia, siamo al big bang indietro non si torna

Martedì 6 Dicembre 2016
Zaia: autonomia, siamo al big bang indietro non si torna
«Il vincitore morale di domenica è il popolo veneto, prima regione d'Italia per affluenza alle urne: una partecipazione storica. L'antipasto di quello che sarà il referendum per l'autonomia». Un lunedì da incorniciare per il governatore Luca Zaia dopo una campagna elettorale piena di punte aspre di polemica. Governatore che adesso guarda alla prossima battaglia, quella per l'autonomia.
Quali conseguenze del voto di domenica sul referendum per l'autonomia?
«Intanto diciamo che se si fosse verificato il contrario, cioè una schiacciante vittoria del Sì a favore di una riforma centralista con Regioni e istanze locali svuotate di competenze e ridotte al silenzio, il nostro referendum neanche avrebbe avuto senso. E dispiace che ieri, per le mancate risposte di palazzo Chigi, non ci sia stato l'election day. Ma andiamo avanti: ci sono procedure da completare, entro l'inizio dell'estate faremo il referendum. Se ci saranno le Politiche cercheremo l'election day».
Sul risultato ha pesato la bocciatura della legge Madia decretata dalla Consulta su ricorso del Veneto a pochi giorni dal voto?
«Credo di sì perchè in un momento topico ha dato la dimensione di quello che stavano combinando a Roma. La gente ha capito il senso, al di là degli aspetti tecnici: ad esempio che quelli che volevano cambiare la Costituzione erano gli stessi che volevano che i direttore generali delle Asl venissero nominati da commissioni nazionali attraverso procedure surreali».
Renzi si è dimesso, probabile un governo tecnico.
«Siamo al bivio tra stabilità e instabilità. Dove la stabilità - anche rispetto ai mercati finanziari - non è quella data da un governicchio tecnico, ma da un vero esecutivo legittimato e scelto dal popolo. È dal 2008 che non ne abbiamo più uno. Mi auguro che Mattarella sciolga le Camere e si vada a votare».
Con quale legge elettorale?
«È questione per addetti ai lavori. Sulla costituzionalità dell'Italicum, la Consulta si deve esprimere a breve. Si voti subito».
Primarie in vista per il candidato premier del centrodestra: partecipa?
«I tempi sono eccezionalmente maturati per le primarie. L'ho detto in tutte le salse: non mi candido. E d'ora in poi non risponderò più a questa domanda».
A votare No sono state soprattutto le periferie, in senso geografico e sociale, le classi che sentono di più gli effetti della crisi e dell'immigrazione, gli emarginati, i giovani. Ha prevalso la ribellione anche rispetto alle indicazioni di partiti e leader?
«Non è stato solo un voto di pancia. Mi ha colpito il dato del No al 90% tra i giovani. In Veneto gli elettori hanno capito che lo scontro era tra centralismo e federalismo».
Cos'hanno capito?
«Che la riforma stava per far saltare meccanismi democratici e vitali di rappresentanza e garanzia solo per avere 100 senatori in meno ma a costi quasi uguali mentre i deputati restavano 630 con costi per 2 miliardi tali e quali. E lo dice uno che pensa che oggi 200 parlamentari in tutto, 10 per regione, sono più che sufficienti. Hanno capito che i poteri locali e i territori non avrebbero più potuto esprimersi e reagire. E poi la questione della virtuosità, con la Sicilia esonerata dai costi standard. Renzi non può venire qua 6-7 volte a dire che il referendum autonomista è inutile. I veneti non cercano la rissa ma appena possono ti danno il segnale».
Il mondo cattolico era in prevalenza per il Sì
«Ai tempi della Dc e del Pci, si diceva che Dio ti vede nell'urna. Ecco, da cattolico dico che i cattolici si sono comportati come tali. La Chiesa deve badare alle anime, dei corpi ci occupiamo noi. Lo dice anche il Papa».
Bruxelles, il governo tedesco, la Casa Bianca, i grandi media: tutti per il Sì. C'è stato un effetto boomerang, tipo Brexit?
«I cittadini hanno sviluppato l'allergia al Grande Fratello. Il suo appoggio è controproducente. Ma questo è un Paese costellato di grandi fratellini locali. Vedi alcuni personaggi o alcune associazioni di categoria: capisco adeguarsi ma c'è chi ha esagerato, arrivando a dire agli associati che la riforma Renzi non era centralista. O la ricomparsa dei sindaci da Prima Repubblica, quelli che ad un mese dalle elezioni asfaltavano le strade...».
Oltre cento sindaci hanno firmato accordi direttamente con il premier nell'ultimo mese, compreso il sindaco di Venezia, Brugnaro...
«Sì, schei a tutte le ore. Chi mantiene adesso quegli accordi?»
Sembra voglia prendersi qualche rivincita...
«Chiariamo: per me la campagna elettorale è finita. Però non è che siamo venuti giù dalla montagna con la piena...Le porte della Regione sono aperte per tutti e sarebbe grave se non fosse così. Però se qualcuno si presentasse non da me ma dai cittadini con un po' di cenere in testa non sarebbe male. Pensate a cosa sarebbe successo a risultato capovolto: oggi saremmo in pieno processo pubblico. Invece quando perdono gli altri si cambia discorso».
Quali spazi per l'autonomia del Veneto adesso?
«Siamo al big bang: d'ora in avanti chi non si impegna per l'autonomia del Veneto non potrà chiedere voti. Il discorso vale per tutti. Gran parte della sinistra odia la partita autonomista, lo sappiamo. Ma ogni coalizione, centrodestra compreso, dovrà chiarire molto bene la propria posizione rispetto alla richiesta di autonomia. E anche il centrodestra rischia di andare in difficoltà se non sposa la causa fino in fondo. Per questa necessità di chiarezza vorrei fare il referendum prima delle Politiche».
Insomma per l'autonomia non si torna più indietro?
«A Roma dico: attenti, questa partita è irrinunciabile ma risolvibile. Inizia in Veneto e finisce in Veneto, anche dal punto di vista identitario. Non risolverla però significa produrre un effetto endemico. Ecco perchè parlo di punto di non ritorno. Ricordo il pensiero dei padri: il federalismo è centripeto, aggrega i paesi, il centralismo è centrifugo. A buon intenditore poche parole».
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