Vanno a caccia di una tangente e scoprono un verminaio all'Agenzia delle entrate.

Domenica 18 Giugno 2017
Vanno a caccia di una tangente e scoprono un verminaio all'Agenzia delle entrate. È così che la Guardia di Finanza e il sostituto procuratore Stefano Ancillotto, lo stesso pm del caso Mose, sono arrivati a far arrestare 16 persone, accusate di aver aggiustato le pratiche fiscali di aziende piccole e grandi del Veneziano. Ma è curioso e interessante ricostruire il percorso seguito da questa inchiesta.

LE ORIGINI - Inchiesta che apparentemente inizia il 24 gennaio 2013 quando l'imprenditore Pierluigi Alessandri della Sacaim mette a verbale tra molte altre cose - di aver pagato una tangente da 100mila euro all'assessore del Comune di Venezia Enrico Mingardi. Il verbale viene segretato e la Finanza inizia ad intercettare Mingardi. In realtà già il 28 maggio 2011, cioè due anni prima, la Guardia di finanza aveva registrato un incontro all'hotel dei Pini di via Miranese tra Alessandri e Mingardi, segno evidente che Alessandri era tenuto d'occhio da ben prima del verbale del 2013. Fatto sta che nel 2011 non succede nulla. Nulla nemmeno nel 2012 e nel 2013.

MINGARDI E MAGGIONI - Arriviamo al 2014. Mingardi non è più assessore del Comune di Venezia dal febbraio 2010, quando un giorno viene chiamato da Alessandro Maggioni, anche lui ex assessore e anche lui del Pd. Maggioni è già finito nelle carte della Procura che sta indagando sul Mose, indagine che il 4 giugno 2014 porterà all'arresto di 34 persone. Tra gli arrestati c'è anche il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e la Procura vuol sapere da Maggioni, allora segretario del Pd veneziano, chi abbia pagato la campagna elettorale di Orsoni visto che una parte di quattrini è arrivata dal Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati. La Guardia di finanza sente che Maggioni e Mingardi parlano di una fattura che la ditta Carron deve emettere a favore di una società di Maggioni. Anche la ditta Carron è finita nelle carte della maxi inchiesta Mose perché sospettata di aver svolto gratuitamente i lavori di ristrutturazione della casa di Mogliano di Claudia Minutillo, l'ex segretaria di Galan così come Sacaim sostiene di aver eseguito gratuitamente parte dei lavori di ristrutturazione della villa di Galan. E siccome il patron della Sacaim, Alessandri, ha detto sì di aver pagato a Mingardi 100mila euro, ma di essere sicuro che altrettanti ne ha pagati Carron, ecco che alla Finanza pare di essere arrivati alla quadratura del cerchio. Da qui la necessità di intercettare Carron e Maggioni. Il quale parla al telefono con Arcangelo Boldrin, pure lui del Pd. A questo punto siamo già nel marzo 2015 il verbale di Alessandri è di due anni prima e il primo contatto Mingardi-Alessandri è del 2011 quando la Finanza intercetta una conversazione tra Arcangelo Boldrin ed Elio Borrelli, direttore del Centro operativo dell'Agenzia delle entrate di Marghera.

BORRELLI E BARETTA - Borrelli che è al centro dell'inchiesta che ha portato a questi ultimi arresti - chiede a Boldrin di intervenire presso il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta perché vuole una promozione. Arcangelo Boldrin, che di mestiere fa il commercialista, ma ha nel suo Dna il metodo democristiano del vedremo, assicura che farà e vedrà, si interesserà e parlerà, ma poi non fa assolutamente nulla. Infatti Borrelli non viene promosso. E non sappiamo neppure se Baretta venga informato che Borrelli chiede la raccomandazione. «Credo di non averlo proprio mai visto né conosciuto questo Borrelli. Il nome non mi dice nulla e penso che mi ricorderei di una persona di quel livello, dell'Agenzia delle entrate, che viene da me». Infatti Baretta, come Mingardi e Boldrin, peraltro, non è nemmeno lontanamente implicato in questa vicenda che porta alla scoperta di quella che il gip Scaramuzza definisce un sistema consolidato di corruzione per cui i dirigenti dell'Agenzia delle entrate e pure i Finanzieri si facevano pagare per far ottenere significative riduzioni degli importi tributari originariamente generati. Vuol dire in buona sostanza che venivano fatti accertamenti per, mettiamo, 10 milioni e invece di pagare 10 l'imprenditore pagava 2. Ovviamente versando qualche centinaio di migliaia di euro nelle mani di Borrelli e company. Chiaro, no?

IL FILONE ARIDO - Resta la domanda: che fini ha fatto l'inchiesta relativa a Mingardi? Par di capire che, come altri filoni di indagine si sia inaridita e questo spiega perché il diretto interessato non abbia mai saputo nemmeno di essere indagato. Non è l'unico troncone che finisce nel nulla. Anche la parte relativa a Carron già nel 2014 pareva lì lì per sortire effetti, così come pareva che anche un ex sindaco di Venezia fosse sul punto di ricevere come minimo un avviso di garanzia. Ma anche per un filone legato ai project financing pareva sempre che succedesse il finimondo. Poi, come giustamente succede, i controlli e gli approfondimenti avevano portato la Procura a convincersi che non c'era nulla di penalmente rilevante dietro comportamenti che a prima vista parevano truffaldini e così i nomi dei sospettati restavano nelle carte dell'inchiesta e non venivano resi pubblici. Stavolta invece non è andata così e Mingardi, Boldrin e Baretta si sono trovati a doversi difendere da un'accusa che non è mai stata formulata. Almeno fino ad oggi.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci