Sono davvero pochi gli elementi di novità emersi dall'intervento di Donald

Mercoledì 20 Settembre 2017
Sono davvero pochi gli elementi di novità emersi dall'intervento di Donald Trump alle Nazioni Unite circa la sempre più grave escalation della crisi coreana. Il presidente ha ammonito Kim Jong-un definendolo «rocket man in missione suicida, ma el che è emerso in seguito alle molteplici provocazioni di Pyongyang dimostra però il contrario di quanto affermato da Trump. Non c'è dubbio che se Kim osasse attaccare l'isola statunitense di Guam, il Giappone o il territorio sudcoreano la risposta di Washington (garante della sicurezza dei suoi alleati nel Pacifico) sarebbe devastante e annichilirebbe la Corea del Nord in un conflitto che non sarebbe però a costo zero, specie per i sudcoreani la cui capitale è a tiro delle artigliere nordiste dotate di migliaia di proiettili a carica chimica. È però altrettanto vero che un attacco preventivo degli Usa alle infrastrutture politiche, militari e industriali nordcoreane potrebbe cancellare il regno di Kim ma non impedire rappresaglie chimiche e nucleari contro la Corea de Sud e forse anche il Giappone, Guam o le Hawaii. La storia della deterrenza nucleare insegna che contro le potenze atomiche non si possono combattere guerre, se non a un prezzo che nessuno è disposto oggi a pagare. Per questo il limite del discorso di Trump tenuto all'assemblea generale dell'ONU è rappresentato proprio dall'incapacità del leader della più grande potenza mondiale ad aprire nuove strade, inevitabilmente basate su negoziati, per la soluzione di quella crisi.
Ogni test nordcoreano indebolisce il ruolo degli USA dimostrando la loro incapacità di proteggere i propri alleati regionali. Non è un caso che i nordcoreani abbiano accelerato i programmi atomico e missilistico a partire dal 2002, in seguito alle operazioni statunitensi in Afghanistan e Iraq dopo gli attentati dell'11/9 e all'inserimento del regime di Pyongyang nel cosiddetto Asse del Male coniato da George W. Bush e rispolverato ieri da Trump. La riedizione di questa compagine di Stati canaglia allargata ai movimenti insurrezionali e terroristici rappresenta forse l'unico elemento di novità annunciato ieri all'Onu in cui Trump ha accomunato Corea del Nord, Venezuela, Iran, Siria, al-Qaeda, Hezbollah, Stato islamico e Talebani. Più che altro un elenco dei cattivi quello di Trump con il rinnovato Asse del Male che traccia da un lato parallelismi già noti ai tempi dell'Amministrazione Bush.
Dall'altro lato però le affermazioni di Trump circa i nemici sono contraddittorie. L'accusa di terrorismo all'Iran appare insostenibile, specie se viene dagli Usa che sono stretti alleati delle monarchie sunnite del Golfo che da sempre sostengono il jihadismo sunnita. Hezbollah è nemico di Israele e combatte in Siria al fianco di Assad contro al-Qaeda, Stato Islamico e altre milizie jihadiste armate coi dollari da Usa, sauditi ed emirati. Curiosamente i protagonisti principali del conflitto siriano risultano accomunati dalla Casa Bianca sotto la definizione di Asse del Male. Trump allarga gli orizzonti bellici ma senza una strategia precisa e in nome di una dottrina confusa, se non ambigua, che sembra improntata all'improvvisazione o alla precisa volontà di destabilizzare quanto più possibile le aree più critiche del pianeta.
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