Roma saccheggiata Ma non era una mafia

Venerdì 21 Luglio 2017
Roma saccheggiata Ma non era una mafia
La lettura del dispositivo dura per oltre mezz'ora, ma il cuore della sentenza è nei primi secondi: «Riqualificati i reati di cui al capo uno in 416», per tutti i diciannove imputati, accusati di fare parte o avere favorito la cupola cade l'accusa di mafia. Nel bilancio finale della sentenza, i cinque secoli di carcere chiesti dai pm per i 46 imputati scendono a due e mezzo, ma le pene, in un verdetto che nega alla procura il riconoscimento di una cosca romana, sono pesantissime.
Venti anni per il Cecato e 19 per il suo socio, il re delle coop Salvatore Buzzi. Undici per l'ex consigliere comunale di Forza Italia Luca Gramazio, dieci per l'ex ad di Ama Franco Panzironi, dodici anni per l'ex consigliere Enav Fabrizio Testa. Tra i cinque assolti c'è anche l'ex direttore generale dell'Ama Giovanni Fiscon, mentre il Tribunale triplica la pena, rispetto alle richieste dei pm, per Luca Odevaine, da due anni e mezzo a otto. «Le sentenze si rispettano e con questa sentenza sono state date anche condanne alte - commenta a caldo il procuratore aggiunto Paolo Ielo - i giudici ci danno torto su alcuni punti, mentre in altri riconoscono il lavoro fatto in questi anni».
In aula ad ascoltare la sentenza c'è anche il sindaco Virginia Raggi: «É una vittoria per la città», commenta. A metà pomeriggio per 17 imputati vengono revocate le misure cautelari, anche Panzironi torna libero, mentre Gramazio è ai domiciliari dopo più di due anni.
Per il tribunale il Mondo di sotto, quello delle estorsioni e delle intimidazioni, non dialogava con i colletti bianchi. Massimo Carminati e Riccardo Brugia, condannato a undici anni, stavano in entrambe. Ma se la prima aveva i tratti della criminalità, la seconda si occupava di affari. Nessuna delle due, comunque, impiegava il metodo mafioso.
Salvatore Buzzi e il mondo delle coop fanno parte della consorteria degli affari, nella quale figurano anche Gramazio e Panzironi. Le pene sono pesantissime, il commercialista Paolo Di Ninno è stato condannato a 12 anni, Alessandra Garrone, fedelissima di Buzzi a 13 anni e sei mesi. Poi ci sono i corrotti, tutti gli altri ad eccezione di Fiscon, l'ex sindaco di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni e Giuseppe Mogliani, titolare dell'azienda che aveva svolto i lavori nel campo di Castelnuovo di Porto.
Per l'ex presidente del Consiglio comunale Mirko Coratti la pena è di sei anni di corruzione, sette anni per Pierpaolo Pedetti, cinque anni ciascuno per il funzionario Angelo Scozzafava e per il presidente del X municipio Andrea Tassone, nove anni di reclusione al funzionario del dipartimento Giardini Claudio Turella.
La mafia viene del tutto esclusa anche con le assoluzioni «per non aver commesso il fatto» di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggieo, i due presunti ndranghetisti. Per la procura erano l'anello di congiunzione tra la mafia romana, diversa da tutte le altre nelle sue manifestazioni e nella capacità di intimidazione, e le organizzazioni criminali tradizionali. Per loro la procura aveva chiesto 16 anni. L'altro capitolo, sul quale il tribunale procede in direzione opposta a quella dei pm, è la posizione di Luca Odevaine, che aveva già patteggiato la pena di due anni e otto mesi. Alla fine in carcere restano solo in cinque: Carminati, Buzzi, Testa, Brugia e Matteo Calvio.
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