ROMA La contaminazione delle uova è il «risultato di un uso illegale

Giovedì 24 Agosto 2017
ROMA La contaminazione delle uova è il «risultato di un uso illegale di farmaci veterinari negli allevamenti che, come ha dichiarato la Food Standard Agency, l'agenzia per la sicurezza degli alimenti in Gran Bretagna, non costituisce un rischio per la salute pubblica. Tuttavia, nonostante il basso rischio, deve esserci una azione sanzionatoria molto severa che possa servire come monito ad altre forme di utilizzo illegale di composti nella filiera agroalimentare». Lo affermano Pier Sandro Cocconcelli, docente di Microbiologia degli alimenti all'università Cattolica, e Marco Trevisan, docente di Chimica agraria dello stesso ateneo, intervenendo sul caso delle uova contaminate dopo che tracce di Fipronil sono state trovate anche in Italia.
Per i due esperti, «la prima conclusione che si può trarre da questo caso è che il sistema europeo per la sicurezza degli alimenti funziona nel controllare il sistema produttivo e nel proteggere la salute dei consumatori. Infatti, malgrado un primo possibile ritardo segnalato dal Belgio nei confronti dell'Olanda, il Rasff e il sistema di rintracciabilità degli alimenti hanno consentito di identificare le partite contaminate e di ritirare dal mercato le uova stesse o i prodotti derivati. Inoltre, si sono attivati i sistemi nazionali di controllo che hanno permesso di identificare altri casi di uova contaminate con questo insetticida». Cocconcelli e Trevisan invitano a non fare allarmismo: «L'Agenzia alimentare tedesca che ha applicato alcuni modelli di valutazione dell'assunzione acuta o cronica di residui di pesticidi con il cibo ha concluso che non esiste nessun rischio per la salute dei consumatori, fatto salvo il caso di neonati di peso inferiore ai 9 chilogrammi (utilizzando un modello inglese) che in un solo giorno assumano almeno 7 uova contaminate al massimo livello».
Anche per il farmacologo Silvio Garattini, fondatore e direttore storico dell'istituto di ricerche Mario Negri, si tratta di un rischio basso, per il quale «non serve fare drammi». Per difendersi, spiega, bisogna evitare di accumulare questa sostanza con una regola semplice: l'alimentazione varia. «Va considerato spiega che il prodotto ha una eliminazione molto lenta, si calcola che sia necessario quasi un anno per ridurre le concentrazioni del 50% nell'organismo. Se assumo delle quantità molto basse questo non sarebbe quindi un problema. Ma è una sostanza che tende ad accumularsi e potrebbe quindi arrivare e restare a lungo nel tessuto adiposo e nel fegato». Lo scienziato invita quindi a sostenere nuovi studi «incrociati» sulla presenza queste sostanze nell'organismo assieme ad altre.
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