«Riciclarono il tesoro» La Cassazione: in carcere

Domenica 23 Luglio 2017
«Riciclarono il tesoro» La Cassazione: in carcere
Restano in carcere i presunti riciclatori del tesoro di Felice Maniero. L'ha deciso la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibili i ricorsi presentati da Riccardo Di Cicco e Michele Brotini, l'ex cognato del boss della Mala del Brenta ed il suo amico consulente finanziario, contro l'ordinanza del Tribunale di Venezia che aveva già respinto le istanze di riesame dei due detenuti. Una sentenza che, a sei mesi dagli arresti scaturiti dalle dichiarazioni di Faccia d'angelo, contribuisce a rafforzare l'impianto accusatorio dell'inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia lagunare sul giallo dei 33 miliardi di lire accumulati a suon di rapine, traffico di droga, sequestri di persona e bische clandestine.
I PROTAGONISTI Sono entrambi toscani i protagonisti di quella che, a tutti gli effetti, rappresenta l'ultima costola della più rilevante storia criminale del Nordest. Di Cicco, 60 anni, è un dentista di Fucecchio ed è l'ex marito di Noretta Maniero, sorella minore di Felicetto. Brotini, 49 anni, è un broker di Santa Croce sull'Arno. I due erano stati ammanettati lo scorso 17 gennaio, in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Alberto Scaramuzza, che aveva disposto nei loro confronti la custodia cautelare in carcere.
LA CONTESTAZIONE Anche sulla base degli accertamenti condotti dal Gruppo antiriciclaggio del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza di Roma, per ambedue l'ipotesi di reato era di riciclaggio, con l'aggravante di aver favorito attività mafiose. Una contestazione seguita alla vendetta di Maniero: furioso per la mancata restituzione dei capitali illeciti, che sosteneva di aver affidato al cognato affinché li gestisse con la collaborazione dell'esperto, il 12 marzo 2016 l'ex capo della Mala del Brenta era andato in procura a svelare il tradimento del patto.
LA MALA Lo scorso 10 febbraio Di Cicco e Brotini si erano già visti respingere i ricorsi dal Riesame, ma avevano deciso di arrivare fino in Cassazione. Tre i motivi addotti dal dentista, assistito dall'avvocato Cesare Stradaioli e attualmente recluso a Tolmezzo. Il primo riguardava il reato contestato: secondo la difesa di Di Cicco, quand'era stata chiesta l'applicazione della misura cautelare e cioè nel 2016, la Mala del Brenta aveva «cessato di esistere da oltre un ventennio»; inoltre durante l'interrogatorio di garanzia, il cognato dell'ex boss aveva ammesso «di aver iniziato a ricevere somme da riciclare nel 1995, ossia dopo che il Maniero aveva iniziato a rendere dichiarazioni collaborative e ad effettuare chiamate in correità di complici e sodali dell'associazione».
LA CONFESSIONE La seconda argomentazione concerneva un travisamento di quella confessione: «Lo schema menzionato dal Di Cicco non fa riferimento ad un'attività di riciclaggio di capitali bensì ad un'attività di mera restituzione delle somme ricevute, compiuta in più riprese e fino ad esaurimento delle provviste (operazione definita di retrocessione)». La terza doglianza verteva sulla mancata attenuazione della misura restrittiva, affermando che l'esigenza della carcerazione non fosse più attuale. Più sintetiche ma simili le motivazioni citate dal broker, rappresentato dagli avvocati Marco Rocchi e Alfredo Auciello e ora detenuto a Voghera. Secondo la tesi difensiva di Brotini, il quadro indiziario composto attraverso le rivelazioni di Maniero mancherebbe di «univocità e concordanza» e la misura cautelare scelta sarebbe eccessiva.
IL VERDETTO La sentenza della seconda sezione penale della Cassazione (presidente Giovanni Diotallevi, relatore Andrea Pellegrino) è tuttavia perentorio: «I ricorsi sono manifestamente infondati e, come tali, risultano inammissibili, in presenza di provvedimento del tutto esente da qualsivoglia violazione di legge e/o vizio di motivazione». Nelle nove pagine del verdetto, viene ricostruita soprattutto la posizione di Di Cicco, accusato di aver ricevuto i 33 miliardi («con successiva retrocessione di circa 5-6»), dall'ex suocera Lucia Carrain o dall'ex moglie Noretta Maniero, su disposizione di Felicetto, «per procedere a successive operazioni di sostituzione e trasferimento del denaro o comunque confondimento dell'origine illecita dello stesso, reinvestendolo con l'ausilio di Noretta Maniero nell'acquisto e/o nell'acquisizione di una serie di beni di vario genere».
IL MECCANISMO Secondo la Suprema Corte, non ha alcun rilievo il fatto che il dentista non appartenesse all'associazione mafiosa. Inoltre per i giudici può ben essere considerata riciclaggio l'attività mirata «ad ostacolare la provenienza illecita del denaro», anche se progettata ed eseguita «con modalità frammentarie e progressive». Se questo era il meccanismo, corretta dev'essere ritenuta la valutazione dei magistrati veneziani, secondo cui «Di Cicco ben potrebbe reiterare analoghe condotte anche dagli arresti domiciliari avvalendosi a distanza di incaricati e intermediari competenti nel settore».
IL RACCONTO Magari come Brotini, coinvolto intorno al 1995 per operare con le banche svizzere, come ricorda la Cassazione citando il suo stesso racconto: «Anni dopo il Di Cicco mi disse che l'esigenza di quel contatto non era solo e soltanto di natura prettamente fiscale ma anche quella di sistemare dei soldi del cognato. Vivendo in quel compendio territoriale sapevo che il cognato del Di Cicco era Felice Maniero. Da quel momento dissi a Di Cicco che non volevo assolutamente avere a che fare con questa storia. Purtroppo inutilmente perché il Di Cicco qualche tempo dopo mi informò che il Maniero voleva parlarmi insieme a lui...».
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