Poco prima dell'attacco cercava su internet istruzioni su una bomba

Giovedì 29 Dicembre 2016
Quattro case intorno ad una grossa fabbrica farmaceutica, la Recordati, che un tempo era tra le punte del distretto industriale pontino. E' a Campoverde, comune di Aprilia, che Anis Amri, l'attentatore di Berlino ha passato un anno fa quattro mesi circa in attesa di spostarsi verso il nord Italia. Non molto tempo dopo aver lasciato il Cie di Catania con un decreto di espulsione non eseguito in tasca, nella primavera di un anno fa, il giovane tunisino ha raggiunto in provincia di Latina un amico conosciuto in carcere e ha vissuto tra casa sua e quella di una famiglia mista italo tunisina (straniero lui, italiana ma convertita lei) imparentata con la prima. E' andato avanti tra espedienti e piccolo spaccio e del resto proprio per spaccio è ora in carcere uno dei due capi famiglia che per primo ha deciso di ospitare il ragazzo. Da due giorni, entrambe le case più una terza abitazione, su ordine del pm titolare del fascicolo Francesco Scavo, vengono perquisite dagli uomini della Digos di Roma e i conoscenti di Amri sono stati interrogati più volte: tutti i cellulari sono stati sequestrati a caccia dei contatti più recenti con Amri e di qualunque dettaglio che porti all'ipotesi di una militanza attiva nel fondamentalismo islamico. Entrambe le famiglie sono religiose e con loro Amri avrebbe condiviso le proprie convinzioni e parlato della propria adesione al fondamentalismo radicale.
Subito dopo la sosta in Italia, infatti, sarebbe andato in Bassa Sassonia per addestrarsi con il gruppo di Abu Walaa, il predicatore considerato il leader più autorevole negli ambienti salafiti tedeschi. E a febbraio di quest'anno era già in Francia dove, dicono le informative raccolte dalla Germania, aveva provato a comprare armi automatiche. L'ipotesi che gli inquirenti ora vogliono verificare è che Amri volesse tornare proprio nel centro o sud Italia (in particolare in Sicilia o seguendo comunque i contatti fatti in carcere) nel suo disperato tentativo di far perdere le proprie tracce dopo l'attentato di Berlino.
Proprio sui documenti che incrociano le informazioni raccolte nell'ultimo anno si è concentrato il vertice tra investigatori tedeschi e quelli coordinati dalla procura di Milano. Gli inquirenti vogliono incrociare i contatti telefonici rintracciati nel corso dell'inchiesta su Abu Walaa, l'imam arrestato a novembre dell'anno scorso, con quelli del cellulare dello stesso Amri, per ricostruire con precisione la rete di amicizie e appoggi di cui poteva disporre e capire quante di queste possano essere considerate fatte da aderenti al fondamentalismo islamico, sia in Germania sia in Italia.
Molto potrebbe significare l'arresto di un presunto complice di Amri avvenuto proprio ieri a Berlino. Stando alle informazioni circolate sulla stampa tedesca, l'uomo, tunisino di 40 anni, sarebbe stato in contatto via cellulare con Amri fino a pochi minuti prima che il camion che aveva sequestrato fosse lanciato sulla folla uccidendo 12 persone. Di certo, la ricostruzione dell'ultimo anno di indagini sul conto del ragazzo ha del paradossale: da febbraio a novembre scorso il rimpallo di documenti sul suo conto è stato continuo. A febbraio la Francia l'ha identificato mentre provava a comprare armi e nello stesso mese la Germania chiede all'Italia informazioni sul suo conto che arrivano contenute in un corposo fascicolo. A maggio, la Germania segnala Amri come soggetto pericoloso, il 10 il suo nome viene inserito nel database della polizia italiana con l'indicazione di contattare immediatamente la Digos per chiunque l'avesse identificato. Eppure, a novembre, pochi giorni prima della strage, i tedeschi nelle informative di intelligence avevano scritto di ritenere «improbabile» che il ragazzo organizzasse concretamente un attentato, sebbene avesse cercato su internet informazioni su come costruire una bomba artigianale e a febbraio, si fosse offerto all'Isis per compiere un attentato suicida.
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