PARMA - Elezione per ovazione. Così Matteo Salvini viene riconfermato alla

Lunedì 22 Maggio 2017
PARMA - Elezione per ovazione. Così Matteo Salvini viene riconfermato alla guida della segreteria federale di una Lega Nord che adesso vuole puntare anche al Sud, una Lega che non rinnega il pratone di Pontida né le adunate veneziane settembrine, una Lega che mantiene nello statuto l'obiettivo - chissà - dell'indipendenza della Padania, ma che non ha più voglia di mandare a Roma una caterva di parlamentari solo per fare emendamenti o, come dice lo stesso Salvini, «parlare alla luna, perché noi a Roma dobbiamo andare a governare, non a fare l'opposizione». Ed è qui che il Palacassa di Parma esplode in un'altra ovazione, è un salone delle fiere dove siedono i 595 delegati arrivati da tutta la Padania, che significa il Nord fino al confine meridionale con Toscana, Umbria e Marche, ma c'è anche un buon numero di base, gente con i cartelli che inneggiano a Salvini premier e pure sognatori immarcescibili e innamorati del Senatùr, compresa una bionda boccolosa di verde vestita che sembra la Barbie padana degli anni Novanta.
È questa la sfida del Carroccio 2.0: tenersi stretti i vecchi militanti, continuare a (tentare di) essere il sindacato del Nord, ma aprendosi anche al resto del Paese, e non è un caso che Salvini nel suo intervento ripeta più e più volte la parola Italia che ai leghisti della prima ora è sempre andata per traverso, e pure citi un paio di articoli della Costituzione. Sì, c'è il rischio che un pezzetto di Carroccio se ne vada e anche se lo sfidante perdente Gianni Fava non farà correnti («Matteo ha vinto e sarà il mio segretario»), anche se Umberto il Senatùr è critico nei confronti di questo new deal («Non dobbiamo occuparci del Sud») ma per ora non se ne va, la preoccupazione è che qualcuno, magari da fuori, magari a tavolino, si inventi una Lega parallela tale da isolare quella vera e renderla ininfluente. È così che un Salvini inaspettatamente moderato, dal palco della fiera di Parma non parla troppo di alleanze, non inveisce contro gli alfaniani, non detta condizioni per le future alleanze, critica «questa Europa» ma non l'Europa tout court. Dice che uniti si vince ed è un'unione che non riguarda solo il Nord del paese: «Se mi chiama un sindaco terremotato dell'Abruzzo, è mio dovere correre in aiuto». È quel «prima gli italiani» al posto di «prima il Nord» che ha fatto storcere tanti nasi, ma che a Parma viene accettato. Esattamente come Salvini dice di aver fatto con le «sberle» di Bossi: «Il suo vaffa l'avevo metabolizzato anche quando ventenne mi chiamava in piena notte. Da lui sì, da altri no». Ed è un messaggio tutto interno, come quando dice che le sezioni devono aprirsi, rinnovarsi, perché «fuori possono esserci persone migliori di noi», e vanno coinvolte, «non escluse per paura che ti soffino il posto di sindaco o di parlamentare». È un Salvini che parla soprattutto al partito, a quel 50% scarso di militanti che alle primarie dell'altra domenica neanche è andato a votare, «militanti di cartone» li chiama Roberto Calderoli. Rinnovamento e pure «pulizia», perché in questo nuovo mandato Salvini non vuole «ricommettere l'errore di essere troppo buono». L'avviso è chiaro: «Se qualcuno danneggia il movimento, quella è la porta».
Delle alleanze si parlerà, «una coalizione il più ampia possibile», per ora Salvini dice che preferirebbe un sistema maggioritario, ribadisce che se Berlusconi (peraltro stroncato per le nuove tendenze animaliste: «Prima dei quadrupedi vengono gli esseri umani») intende rapportarsi con Renzi, alla Lega invece «non interessa ragionare con il Pd né ora né mai». Il test sarà con le amministrative dell'11 giugno: «Un voto politico». Salvini promette: «Se vinciamo a Genova, Alessandria, Como, Piacenza, Verona, Padova, si va a votare domani mattina». L'ovazione lo incorona, la successiva votazione per alzata di mano è un pro forma.
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