Morto il giurista Stefano Rodotà Era stato candidato al Quirinale dal M5s

Sabato 24 Giugno 2017
ROMA - Si era auto-assegnato il ruolo del lucido. Ma reiterando per decenni questa parte, sempre uguale a se stessa, sempre quella dell'intellettuale giacobino e del sacerdote del politicamente corretto, la presunta lucidità di Stefano Rodotà si è via via trasformata nella solita retorica. Questo giurista icona dell'indipendente di sinistra, ma sempre vincolato alla sinistra che lo elesse dal 79 al 94 in Parlamento, è scomparso ieri, a 84 anni. Ha dato lezioni alla politica stando continuamente dentro la politica da maestro del Pci e dei suoi derivati. Achille Occhetto lo volle presidente del Pds. Non ci fu girotondo, giustizialista o benecomunista o luogocomunista, di cui non è stato considerato idolo. Anche grazie alla sua capacità affabulatoria, che assai gli è stata utile anche per i suoi successi accademici. Formule come il diritto di aver diritti (con un unico dovere religioso: guai a toccare la Costituzione più bella del mondo) ne hanno fatto un personaggio pop, almeno nel mondo dei cosiddetti ceti medi riflessivi.
Ma anche la neo-politica grillina a lui ha creduto di potersi affidare, addirittura candidandolo per la presidenza della Repubblica nel 2013. E quanti applausi al Teatro Valle occupato. E che brividi provocava nelle masse, almeno quelle lettrici di MicroMega, ogni volta che egli evocava la svolta autoritaria e non c'è stata sillaba berlusconiana o renziana che non gli facesse intravvedere il regime in agguato. Appena partiva una crociata contro l'abuso delle intercettazioni, i promotori dicevano: chiamiamo Rodotà. E lui (che pure è stato garante della privacy dal 1997 al 2005): presente! Ogni volta che serviva un intellettuale organico, ma indipendente, serviva Rodotà. Ogni volta che c'era da ribadire la superiorità morale della sinistra, scendeva in campo l'insigne prof, con il nuovo libro pronto all'uso: e giù con titoli come l'Elogio del moralismo.
Ora lo piangono tutti e giustamente, perché Rodotà è stato onnipresente, e quasi invasivo nel suo presenzialismo militante, e il vuoto che lascia è notevole. Quasi quanto la sua certezza, in verità poco illuministica, di stare sempre dalla parte della ragione e di rappresentare i migliori. Uno dei migliori ora purtroppo è scomparso. Lasciando in eredità, a chi resta, il diritto o forse il dovere di ragionare sui rapporti tra cultura e politica in maniera più laica di come ha fatto Rodotà.
Mario Ajello
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