Le ragazze prigioniere di Marcon

Mercoledì 7 Dicembre 2016
Una organizzazione che avrebbe gestito addirittura una ventina di case d'appuntamento sparse per l'Italia. Una di queste era a Marcon e proprio da qui sono partite le prime segnalazioni ai carabinieri da parte di cittadini insospettiti dal via vai di clienti. Ai vertici della banda due donne cinesi, una che faceva base a Mestre, l'altra a Milano, accusate di aver sfruttato le prostitute, tutte connazionali, fatte venire apposta dalla Cina, costrette a una vita disumana, spesso chiuse in casa per settimane. É un quadro accusatorio pesante, quello ricostruito dai carabinieri di Mestre che, coordinati dalla Procura di Venezia, indagavano da oltre un anno su questo giro. Ieri sono arrivati i primi sette arresti di cinque cinesi (quattro donne e un uomo) e due italiani residenti a Milano, tutti accusati di concorso in sfruttamento della prostituzione, nonché di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Denunciata un'altra quarantina di persone che, a vario titolo, sarebbero state coinvolte nel giro.
I dettagli dell'operazione - denominata Freccia gialla - sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa dal procuratore aggiunto Adelchi D'Ippolito, dal comandante provinciale dei carabinieri, Carlo Lunardo, con il capitano Antonio Bisogno. Il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Lucia D'Alessandro, ha disposto la custodia cautelare in carcere delle due donne considerate al vertice della banda: Xiu Yumei, 47 anni, residente a Mestre, e Fang Yanhong, 34 anni, latitante, che invece gravitava su Milano, con il compagno italiano, Roberto Raffaldi, 52enne, pure arrestato, anche se considerato ad un secondo livello, più operativo. A questo livello anche gli altri in manette: le cinesi Liu Fen, 48 anni, e Qin Xiuxia, 44 anni, con il compagno Alessandro Ansuini, 45 anni, nonché il cinese Yu Wenkuan, 38 anni. Obbligo di firma, infine, per un altro cinese.
L'inchiesta era cominiciata nell'estate del 2015 da quelle prime segnalazioni arrivate da Marcon. Un'inchiesta «sviluppata con tecniche tradizionali - ha sottolineato D'Ippolito, complimentandosi con l'Arma -: tante intercettazioni, tanti pedinamenti e osservazioni». Così i militari hanno ricostruito il modo di operare del gruppo che aveva le sue strategie per sfuggire ai controlli. Le cape, ad esempio, evitavano di incassare il denaro utilizzando intermediari. Le case erano concentrate in Lombardia (a Milano quelle dove lavorano più ragazze, anche 4-5), una in Veneto (quella di Marcon, nella centrale via Alta), le altre sparse per il centro Italia. E le organizzatrici si spostavano dall'una all'altra con i treni ad alta velocità (di qui il nome Freccia gialla). «Veramente sfruttate, tenute in condizioni disumane» - come ha sottolineato Lunardo - le ragazze. Attirate in Italia con la prospettiva di un lavoro, venivano tenute chiuse nelle case senza uscire per settimane, spostate da un postribolo all'altro, in base alle richieste della clientela. Decidevano tutto le sfruttatrici che requisivano pure i passaporti delle prostitute, spesso clandestine. Per loro un incubo finito.
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