Italiani all'estero e moderati decisivi

Venerdì 2 Dicembre 2016
Matteo Renzi non ha scelto Firenze solo per sentirsi a casa. E neppure per dimostrare plasticamente, dopo il flop della manifestazione grillina, che è ancora lui in Toscana il leader più popolare. Nella scelta di Firenze come tappa finale della lunga campagna elettorale ha pesato, come spesso accade al premier, la scaramanzia. E' infatti a piazza della Signoria, dove questa sera alle 21 Renzi terrà l'ultimo comizio, che concluse nel 2014 la campagna per le elezioni europee. Quelle in cui il Pd schizzò al massimo storico: 40,8%.
Nelle ultime ore il premier si dichiara più ottimista. I sondaggi riservati danno il Sì ancora leggermente sotto al No, «ma con i voti degli italiani all'estero», dice un dirigente renziano, «potremmo essere addirittura un filino sopra. Sarà una partita che si deciderà all'ultimo voto, in nostro soccorso però sembra stiano arrivando i consensi dei moderati». Quelli su cui Renzi ha puntato da inizio ottobre. Quelli che potrebbero fare come Romano Prodi che, pur annunciando il voto favorevole alla riforma, non ha nascosto le sue perplessità.
Ecco, è questa l'ultima scommessa del premier e del segretario del Pd che ieri ha trascorso la giornata in tv (Mattino 5, Studio aperto, Sky, Otto e mezzo) e sul web («Matteo Risponde»). Trasformare in Sì i Ni degli indecisi: «Non vota Sì solo chi è entusiasta o convintissimo. Tanti pesano pro e contro, esattamente come Prodi. Non tutti devono essere d'accordo su tutto, ma è certo che se vince il No la Casta, il sistema politico, resta lo stesso».
Quasi un invito a votare la riforma turandosi il naso. Meglio: a valutare che il Sì è un'occasione da non perdere per cambiare: «Il prossimo treno passa tra vent'anni, se tutto va bene. Il No farebbe ripartire tutto da capo, rimettendo le lancette indietro». Allo stesso tempo il voto favorevole alla riforma, batte e ribatte Renzi, garantisce stabilità e un governo forte che avrà «l'autorevolezza per farsi sentire in Europa» e permetterà al Paese di proseguire «nel percorso di crescita».
Già. Il più 1% del Pil certificato dall'Istat è per Renzi una palla da schiacciare. E il premier-segretario trascorre la giornata a celebrare il risultato, sempre nell'ottica del dopo-voto: «Faremo di più, più semplici e più forti. Il governo tecnico-tecnocratico nel 2012 ci aveva lasciato il Pil a -2,3%. Adesso la macchina si è rimessa in moto, ma vogliono fregarvi e parlare d'altro: legge elettorale, deriva autoritaria. La verità è invece che il percorso che abbiamo cominciato potrà proseguire veloce, anziché tornare indietro con il No per l'ennesima volta».
Per «smascherare le bufale» di legge elettorale parla però anche Renzi. Dopo aver mostrato la scheda per l'elezione del nuovo Senato, ieri ha detto e ripetuto: «Non aboliamo il diritto di voto, ma gli stipendi dei senatori». E ha garantito per l'ennesima volta che cambierà l'Italicum: «Si riforma in tre mesi». Poi, si è gettato a capofitto nell'operazione-spersonalizzazione. Ricordando che chi votò nel 1974 per il divorzio «non lo fece perché gli stava simpatico Pannella». Affermando: «Sulla scheda non vi viene domandato cosa ne pensate del governo, ma se volete un Paese più efficiente e abolire il Cnel e tante altre poltrone». Per concludere infine: «Domenica non si vota su di me. Per mandare a casa il governo ci sono le elezioni».
Parole che Renzi ieri sera ha ripetuto a Napoli e oggi ripeterà a Palermo e Reggio Calabria, prima di chiudere a Firenze. E' il Sud, infatti, il più grande bacino di indecisi. Di Ni da provare a trasformare in Sì.
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