Isis, il papà di Meriem: «Cercarla mi fa paura»

Lunedì 23 Gennaio 2017
L'eco degli spari a Capodanno nella discoteca di Istanbul. Prima ancora, le immagini del camion che fa strage in un mercatino natalizio a Berlino. E prima ancora Nizza, Bruxelles, Parigi: c'è il cuore di un uomo minuto che batte più forte, ad Arzergrande, piccolo paese della Bassa Padovana, quando le istantanee insanguinate dell'Isis in azione arrivano in tv e sui giornali.
È il cuore di Redouane Rehaily, 41 anni, marocchino, apprezzato operaio elettricista, moglie e figli ben inseriti, ma per tutti, dall'estate 2015, il padre di Meriem, la 21enne scomparsa da casa e arruolatasi in Siria, con tanto di giuramento di fedeltà postato via twitter, tra i combattenti del così detto stato islamico, come finora accertato dalle indagini dei carabinieri del Ros e dai giudici veneziani che l'hanno rinviata a giudizio per arruolamento nelle file dell'Isis con finalità di terrorismo. «In casa nostra si prega e si pratica la religione islamica, ma sempre nel rispetto del Paese in cui viviamo, l' Italia» dice ora con un filo di voce Rehaily. «Cercare Meriem? Sì, è stato il nostro primo pensiero quando abbiamo capito che se ne era andata per quel motivo. Ma ora cercarla fa paura: potremmo mettere in pericolo la vita sua e la stessa nostra di vita, di mia moglie, degli altri nostri tre figli». Il fatto che la ragazza sia considerata pericolosa dai giudici («può tornare per uccidere») getta un'ombra sul padre. Ogni volta che arrivano notizie di attentati e di esplosioni nel nome dell'Isis, un pesniero lo lacera: e se l'attentatore fosse lei? «Questa vicenda ci ha cambiato la vita. All'inizio abbiamo provato a lanciare messaggi a nostra figlia, volevamo farle sapere che qua c'è la sua famiglia che l'aspetta, la mamma in particolare, ma non abbiamo mai avuto alcuna risposta» dice, in testa un interrogativo che lo arrovella: cosa c'è alla base della svolta jihadista della figlia? Lui è sempre stato convinto che sia stata la rete mediatica a intrappolare la ragazza, che frequentava la scuola superiore nella vicina Piove di Sacco: «Meriem è stata catturata da internet, il computer è la vera causa di quanto è avvenuto, e lei purtroppo ha avuto una visione distorta della realtà. Perchè la nostra idea di Islam è molto diversa da quella dell'Isis: noi tutti siamo per il rispetto degli altri, io posso solo ringraziare l'amministrazione comunale di Arzergrande che ci ha dato una mano, così come le due parrocchie». È affranto quest'uomo minuto che con tanta fatica è riuscito a trovare un posto fisso in Italia, a farsi poi raggiungere dalla moglie e dai quattro figli, la più grande è proprio Meriem, alla quale l'uomo voleva assicurare un avvenire: proprio per questo l'aveva spinta a proseguire gli studi superiori, dopo la terza media. Qualche anno fa, poi, anche la decisione di prendere una casetta nella campagna di Arzergrande, senza tante pretese ma coronamento dei tanti sacrifici di un padre, che oltre al lavoro in fabbrica, la sera era disponibile a fare il parcheggiatore in un locale della zona.
«Purtroppo non abbiamo avuto più alcune notizia di Meriem in tutti questi mesi, il fatto che il tempo passi, non aiuta in questa terribile storia» sussurra Rehaily. Una piccola soddisfazione, in questa vicenda da incubo: «Gli inquirenti, con i quali abbiamo sempre collaborato, si sono convinti che noi con gli estremisti non abbiamo legami e che nella nostra famiglia l'idea che si pratica è quella della tolleranza e del rispetto».
L'ultimo desiderio che ha la famiglia Rehaily è quello di poter essere lasciati tranquilli, nella cura dei bambini più piccoli, ai quali si dedica anche e sopratutto la moglie, la quale non appare mai in pubblico, secondo le regole della religione islamica.
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