In 60 si lamentano: perché ce l'hanno solo con noi?

Mercoledì 26 Luglio 2017
Da due anni e mezzo il grido di battaglia di 60 ex consiglieri regionali del Veneto, o loro eredi, è sempre lo stesso: resistere, resistere, resistere. Ma a cercare di resistere, contro la loro richiesta di cancellare il prelievo di solidarietà applicato per il triennio 2015-2017, sono anche i vertici dell'istituzione. Ieri sul Bollettino ufficiale della Regione è stata infatti pubblicata la deliberazione dell'ufficio di presidenza di Palazzo Ferro Fini, che dà mandato all'Avvocatura di costituirsi in giudizio nell'ennesimo ricorso, quello davanti alla Corte di Cassazione.
Tutto comincia il 23 dicembre 2014, con l'entrata in vigore della legge regionale 43, che prevede un intervento temporaneo di riduzione degli assegni erogati agli eletti (o alle loro vedove: i politici defunti sono pressoché tutti uomini), nell'ambito di un'operazione di contenimento della spesa pubblica. Di fronte ad un esborso annuo di circa 13 milioni di euro, a favore di 245 non più inquilini del Palazzo (numero aggiornato al 2016, ma in continuo aumento man mano che gli ex compiono i fatidici 60 anni d'età), il 27 gennaio 2015 ai piani alti di Ferro Fini viene approvata una sforbiciata triennale per quanti hanno un reddito annuo superiore a 29.500 euro. La decurtazione è stabilita secondo scaglioni progressivi: 5% fino a un vitalizio di 2.000 euro, 8% tra 2.000 e 4.000, 10% tra 4.000 e 6.000, 15% oltre i 6.000 euro.
Ma in 60 non ci stanno e così il 20 febbraio 2015, difesi dall'avvocato Maurizio Paniz che patrocina iniziativa analoghe in Friuli Venezia Giulia e in Parlamento, depositano un ricorso al Tar del Veneto per l'annullamento della delibera presidenziale e per la rimessione alla Consulta di una questione di legittimità costituzionale della legge regionale. I ricorrenti dubitano della «legittimità della riduzione», che ritengono essere stata operata «a scapito di un solo e determinato soggetto privato», oltretutto «in violazione della intangibilità dei diritti acquisiti e della certezza e stabilità dei rapporti giuridici», attraverso «un intervento legislativo intrinsecamente affetto da vizi di razionalità e proporzionalità». Tradotto dal giuridichese, il ragionamento degli ex consiglieri regionali è sostanzialmente questo: perché se la prendono solo con noi, che incassiamo semplicemente quanto previsto dalla legge vigente quando eravamo in carica?
Ma il 4 dicembre 2015 il Tribunale amministrativo regionale dichiara il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, reputando che la competenza sia della Corte dei Conti. Gli ex non si arrendono e, assistiti anche dagli avvocati Franco Stivanello Gussoni e Italico Perlini, il 2 marzo 2016 impugnano la sentenza di fronte al Consiglio di Stato, lamentandone carenze nella motivazione. Tuttavia pure in appello i pensionati restano delusi: il 18 aprile 2017, infatti, la quinta sezione stabilisce che a doversi pronunciare sia il giudice ordinario. Perciò il 18 maggio scorso i 60 notificano un ricorso per Cassazione, in cui ribadiscono la sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Così si è arrivati alla decisione del consiglio regionale di costituirsi nel giudizio davanti alla Suprema Corte. Un passaggio formale, per difendere «la legittimità dell'operato della Regione del Veneto», ma dalle evidenti implicazioni sostanziali. Perdere questa battaglia significherebbe dover restituire i soldi reclamati dagli ex.
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