In 4 anni mille ciclisti vittime della strada Lo sport sotto choc: «Tragedia infinita»

Domenica 23 Aprile 2017
Morire in bici dopo una vita sempre in sella, abbordando una curva amica, percorsa migliaia di volte, pochi minuti dopo aver salutato la moglie Anna e i gemellini di neanche cinque anni. Addio Michele, l'Aquila di Cantalupo, soprannome che Scarponi s'era guadagnato alzandosi sui pedali per spianare i tornanti di Giro e Tour, da gregario e da campione. Il domatore di salite è morto in discesa, alle 7 e 50 di ieri mattina, travolto da un furgone Fiat Iveco che gli ha tagliato la strada negandogli la precedenza all'incrocio tra l'ex statale 362 e via Schiavoni, la strada che si dirama per la zona industriale. «È successo qualcosa in via dell'Industria», segnalano in tempo reale i social network e qualcuno fa il nome di Michele Scarponi, la gloria locale, capace di vincere un Giro d'Italia nel 2011 per la squalifica di Contador. Impossibile che sia proprio Michele, pensa chi segue il ciclismo, perché venerdì pomeriggio lo scalatore dell'Astana era ancora a Trento, aveva appena concluso al quarto posto in classifica il Tour of the Alps, dopo aver vinto lunedì la prima tappa in Austria.
Invece contro il parabrezza di quel Fiat Iveco, guidato da un artigiano edile di 57 anni, s'era schiantato proprio lui, il campione di ciclismo rientrato a casa la sera prima e ripartito di buon mattino in bicicletta per allenarsi sulle strade di casa in vista dell'edizione numero 100 del Giro d'Italia. «Anche se solo per un giorno ho pensato di portarne a casa due di maglie da leader», cinguettava su Twitter Michele alle dieci di venerdì sera, pubblicando la foto dei gemellini, Giacomo e Tommaso, caricati sulle spalle davanti alla tv.
Ma per lui, 38 anni da compiere a settembre, non è un sabato di riposo. C'è da prepararsi per una nuova sfida nella corsa rosa, stavolta con i gradi da capitano dell'Astana. Michele inforca la bici davanti alla sua casa, un villino dietro il campo sportivo, e con poche pedalate imbocca il tracciato della ex statale Jesi-Macerata. Vuole arrivare a Pianello Vallesina per fare una sorpresa a un amico ciclista, Lucio Mazzarini, a letto con il bacino rotto per una caduta. Prende via dell'Industria, piega a destra per un'ampia semicurva in leggera discesa e di nuovo a sinistra. Intanto dall'altra direzione sale il Fiat Iveco Daily di Giuseppe Giacconi, artigiano piastrellista. È diretto nella zona industriale e appena arriva all'incrocio con via Schiavoni, quando si tratta di svoltare a sinistra, non s'accorge della bici di Michele che gli arriva di fronte. «Avevo il sole in faccia, non l'ho visto, non l'ho proprio visto», si dispera all'arrivo dei soccorritori. Ma la leggerezza che ha commesso svoltando in quel modo costerà al conducente un'indagine per omicidio stradale per condotta imprudente, reato punito con la reclusione da due a sette anni.
Sul luogo dell'incidente non ci sono tracce di frenata e dopo l'impatto con il ciclista il Fiat Daily ha continuato la corsa in salita, fermandosi circa 15 metri più avanti. Michele è stato investito in pieno e ha infranto il parabrezza con la parte alta del corpo. Nonostante il caschetto protettivo, il campione dell'Astana è morto sul colpo. Il corpo del campione è rimasto sull'asfalto, coperto da un lenzuolo bianco.
Pochi minuti e arrivano i fratelli, Marco e Silvia. Le loro urla raccontano lo strazio di una tragedia così improvvisa. Sollevano il lenzuolo, baciano quel viso che hanno sempre visto sorridente. Intanto si raduna una folla di persone ammutolite, tutti sanno chi c'è sotto quel telo, ma nessuno vuole credere che sia davvero lui, il campione della porta accanto, il ragazzo umile che non negava mai un sorriso, un selfie, una maglia autografata. Viene voglia di voltarsi, vedendo la mamma Flavia e la moglie Anna piegarsi su di lui, accarezzarlo. «Me l'hanno ammazzato - urla la vedova - ma quanto correva quel furgone?». Scorrono le auto, passano tanti ciclisti, gli stessi con cui Michele, incrociandoli per strada, accettava di pedalare insieme. Si fermano, chiedono, quel corpo immobile sembra l'eroe di una tragedia greca. Uno raccoglie un frammento del portaborracce. «Non è possibile - piange - che di lui resti solo questo».
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