Il testo sull'Isis elaborato dall'Italia

Venerdì 26 Maggio 2017
Bacchettato sulle mani da Theresa May per le fughe di notizie sulla stampa Usa, Donald Trump ha promesso di intervenire immediatamente con un'inchiesta che identifichi i colpevoli. Anzi, il presidente americano ha colto la palla al balzo e ha lanciato un'inferocita critica contro coloro che «divulgano informazioni sensibili», mentre dall'inchiesta emerge ntanto che è stato usato lo stesso esplosivo del Bataclan di Parigi e degli attentati a Bruxelles.
La lite fra la polizia di Manchester e i servizi di intelligence Usa, per la comparsa sui giornali americani di dati sensibili circa l'inchiesta sull'attentato di lunedì sera, si è così inserita in una querelle sul comportamento dell'intelligence Usa che si trascina da mesi. Ma se oggi Trump si schiera con i britannici e protesta contro i suoi con toni rabbiosi, in realtà sul tema lo abbiamo visto prendere posizioni contrastanti e contraddittorie.
Da candidato, ad esempio, dava allegramente il benvenuto ai leaks dei servizi quando essi danneggiavano il buon nome di Hillary Clinton, ma da presidente si è indignato quando i leaks rivelavano fatti poco edificanti su lui stesso. Nel caos della campagna e in quello dei primi mesi di presidenza, le fughe di notizie confidenziali sono state effettivamente molte, e sono atterrate su tutti i media con tale frequenza da superare di gran lunga qualsiasi altro periodo della storia Usa.
L'ultimo caso in questione però riaccende un malumore fra americani e britannici che è già cominciato a prender forma lo scorso marzo. Allora, Donald Trump aveva insinuato che le agenzie di intelligence britanniche avessero «ascoltato» clandestinamente le conversazioni della Trump Tower, «per fare un favore a Barack Obama». Indignati, i servizi britannici non solo avevano chiesto una ritrattazione, ma anche la promessa che simili accuse non venissero mai più ripetute. Le scuse sono venute, e dunque sembrava che la collaborazione transatlantica in materia di intelligence fosse salva e solida come sempre. Dopotutto Gran Bretagna e Usa fanno parte di quell'esclusivo club noto come i cinque occhi, composto di Paesi che operano una totale collaborazione e trasparenza nel settore della intelligence (Usa, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda).
A turbare le acque sono invece intervenuti due scoop del New York Times, che hanno prima fatto scendere in campo il ministro degli Interni britannico, Amber Rudd, e poi hanno spinto la stessa premier May a prendere da parte Trump e chiedergli di rispettare e proteggere la «fiducia» su cui si basa la «condivisione dell'intelligence». Trump si è mostrato del tutto solidale con i britannici, ha scritto che la fuga di notizie è da considerare «profondamente preoccupante», e si è impegnato ad andare «al fondo della questione», fino a che «i responsabili della fuga di notizie siano perseguiti».
Non c'è dubbio che Donald Trump intenda approfittare delle proteste britanniche per lanciare una lotta contro il moltiplicarsi delle indiscrezioni. D'altra parte Trump non può fare troppe prediche perché lui stesso è stato colpevole di aver fatto trapelare informazioni confidenziali: è ad esempio successo due settimane fa in un incontro con il ministro degli Esteri russo, e il mese scorso al telefono con il presidente delle Filippine, Duterte.
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