Export, vola il made in Italy Il Veneto ritorna locomotiva

Domenica 23 Luglio 2017
Il triangolo industriale si è spostato a Nordest. Negli anni del cosiddetto miracolo italiano (quando comunque lo Stato è riuscito a chiudere tutti i bilanci in rosso) la simpatica figura geometrica del benessere nazionale si posizionava saldamente tra Torino, Milano e Genova, e nel Veneto si reclutavano le servette per film sorridenti. Ma ora che con la grande crisi le cose si son fatte difficili, e la Fiat ha dato il buon esempio emigrando fiscalmente all'estero con la bendizione di Renzi, il triangolo industriale che traina il Paese si disegna tra Milano, Venezia e Bologna.
È la Cgia di Mestre a fotografare la nuova realtà, applicando all'export nazionale il parametro del made in Italy. Ebbene, nel 2016 il saldo commerciale dei prodotti «made in Italy» ha registrato un valore positivo pari a 121,6 miliardi di euro, un risultato che compensa ampiamente il dato realizzato dai prodotti manifatturieri «non made», che è invece negativo per 31,2 miliardi di euro. Nel mondo globale, il piccolo torna bello: perché il Made in Italy è fatto da una miriade di piccole e medie imprese sempre più visibili nel mondo, mentre i prodotti non made in sono tradizionalmente riconducibili a settori caratterizzati prevalentemente da imprese molto strutturate.
A livello territoriale, poi, emerge con nettezza che la locomotiva veneta è tornata a tirare. Nel pregiato settore del Made in Italy, il Veneto è la prima Regione votata all'export in Italia, con un saldo di 25,5 miliardi, seguita dall'Emilia Romagna che arriva a 23,6 miliardi e dalla Lombardia con 21,4 miliardi. Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, il nuovo triangolo industriale delle produzioni che si vendono nel mondo: le tre regioni da sole fanno il 58,7% del saldo commerciale italiano, e il Veneto fa meglio di tutti.
E a scanso di equivoci, qui non si tratta solo di prosecco e grana padano. Tra i prodotti che la Cgia ha considerato «made in» ai fini di questa analisi, la parte del leone la fanno i macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, forni, bruciatori, macchine per l'industria delle pelli, delle calzature e per la lavorazione dei metalli) con un saldo positivo di 48 miliardi di euro (pari al 39,5% del saldo del «made in»). Ottima la performance anche del comparto della moda (tessile, abbigliamento, calzature e accessori) che ha raggiunto un risultato positivo di 18 miliardi e dei prodotti in metallo che hanno raggiunto quota +10,9 miliardi e dei mobili (+7,2 miliardi).
Le altre produzioni manifatturiere, non ascrivibili al «made in Italy», si sono caratterizzate per saldi commerciali molto negativi: l'industria della carta, stampa e del legno (escluso i mobili) con -1,4 miliardi, il tabacco con -1,8 miliardi, i prodotti metallurgici con -2,9 miliardi, le auto con -4,7 miliardi, la chimica-farmaceutica con 8,6 miliardi e i computer e l'informatica con -11,6 miliardi.
In generale, ricordano dalla Cgia, i prodotti «made in Italy» si identificano principalmente nelle «quattro A»: ovvero l'Abbigliamento-moda; l'Arredo-casa; l'Automazione-meccanica e l'Alimentare. Comparti che in larghissima parte sono contraddistinti dalla presenza di piccole o medie industrie a conduzione familiare che, in molti casi, hanno raggiunto nei propri settori posizioni di leadership mondiale. Tanto da far spostare a Nordest il pendolo del triangolo industriale.
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