Era un'imputazione in salita quella per i vecchi vertici di Banca Etruria. E, in

Giovedì 1 Dicembre 2016
Era un'imputazione in salita quella per i vecchi vertici di Banca Etruria. E, in
Era un'imputazione in salita quella per i vecchi vertici di Banca Etruria. E, in parte rispettando le attese, ieri il gup di Arezzo ha chiuso il capitolo con un tratto di penna. Tutti assolti i tre imputati della prima inchiesta sulla banca aretina, nata nel 2013, quando nessuno credeva che l'istituto sarebbe finito commissariato.
Sul banco degli imputati, per ostacolo all'attività di vigilanza, c'erano Giuseppe Fornasari, ex presidente dal 2011 al 2014, Luca Bronchi, ex direttore generale e l'ex direttore centrale Davide Canestri. Il procuratore capo Roberto Rossi e Julia Maggiore avevano chiesto due anni e otto mesi per Fornasari e Bronchi e due anni per Canestri. Il gup li ha assolti perché «il fatto non sussiste» dalla prima imputazione relativa alla compravendita della società immobiliare Palazzo della Fonte e perché «il fatto non costituisce reato» da quella legata al presunto occultamento dei crediti deteriorati nel bilancio del 2012. Respinta, conseguentemente, la richiesta dell'unica parte civile, Bankitalia, che aveva chiesto un risarcimento di 320mila euro.
L'accusa relativa alla vendita della società Palazzo della Fonte si basava sul fatto che l'istituto avrebbe contemporaneamente venduto l'asset immobiliare, il principale dell'istituto, e finanziato lo stesso acquisto con un mutuo da 10,2 milioni. Le difese avevano ribadito come i loro assistiti avessero comunicato a Bankitalia tutti gli elementi fondamentali. Se ci fosse stata qualche omissione, è stato il punto su cui hanno battuto, non sarebbe stata tale da ostacolare la conoscenza dell'operazione che aveva comunque avuto l'ok della Consob. Palazzo Koch del resto, nel corso della prima ispezione nell'istituto, aveva già sanzionato la banca proprio per questa operazione.
Almeno formalmente, l'inchiesta chiusa con queste assoluzioni non dovrebbe avere impatto su quelle in corso. L'indagine, infatti, parte da un'ispezione di Bankitalia relativa ai bilanci del 2012 arrivata in Procura un anno dopo. Dunque prima dell'esplosione delle nuove indagini, nel 2015. «Siamo sorpresi, non ce l'aspettavamo. Attendiamo di leggere le motivazioni per poi proporre appello» ha commentato il procuratore dopo la sentenza: «Specifico però che questa decisione non c'entra niente con le inchieste per bancarotta e truffa in corso e non ha alcun riflesso sulle altre indagini che riguardano i danni subiti dagli obbligazionisti e dai risparmiatori, inchieste sulle quali stiamo alacremente lavorando», ha concluso. I filoni in indagine sono ben quattro: oltre a quelli sulla bancarotta e la truffa ci sono i filoni sulle false fatturazioni, l'udienza davanti al gip è fissata per il 20 dicembre (indagati sono sempre Fornasari e Bronchi con l'ex presidente e l'ex ad della società Methorios, Fabio Palumbo ed Ernesto Meocci) e per conflitto d'interesse. «È stata riconosciuta l'estrema correttezza» di quanto fatto e delle procedure adottate, hanno detto in coro gli avvocati difensori.
Nelle scorse settimane, però, la Consob ha inviato 35 lettere ai componenti degli ultimi due cda (quello presieduto da Fornasari e quello successivo presieduto da Lorenzo Rosi) e ad alcuni dirigenti, avviando l'iter sanzionatorio amministrativo previsto dalla legge perché nell'ex istituto aretino sarebbero stati ignorati gli inviti mandati dalla Banca d'Italia per risolvere i problemi rilevati dagli ispettori di Palazzo Koch.
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