Conti pubblici, Padoan il garante

Martedì 6 Dicembre 2016
Conti pubblici, Padoan il garante
San Prudenzio. Alias Pier Carlo Padoan. Il copyright è di Matteo Renzi, che aveva eletto, poco più di un mese fa, il suo ministro dell'Economia a santo protettore dei conti pubblici, quando aveva negato al premier, oggi dimissionario, di indicare per il prossimo anno una stima di crescita del Pil più alta dell'1% in modo da avere una dote più alta per la manovra di bilancio espansiva approvata alla vigilia del referendum costituzionale. Con la repentina uscita di scena di Renzi e nell'inevitabile confusione di queste ore, toccherà a Padoan provare a tenere calmi i mercati e lanciare segnali rassicuranti ai partner europei. Non a caso l'ipotesi che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella possa assegnare a lui l'incarico di formare un governo per traghettare il Paese verso le prossime elezioni, è visto positivamente in Europa. Ieri il commissario agli affari monetari, il francese Pierre Moscovici, ha speso parole di elogio sul ministro italiano. «È un ottimo collega, che ha mostrato una grande capacità di gestire le finanze pubbliche», ha detto». Ma «non sta a me scegliere», ha concluso Moscovici, «ma naturalmente è un uomo di alta qualità».
La prima urgenza, quella più impellente, sarà mandare in porto la manovra di bilancio evitando che il vuoto di potere, più che far assaltare la dirigenza, la faccia deragliare. L'imperativo è fare presto. Approvare il testo al Senato, magari già entro la fine di questa settimana, senza apportare nessuna modifica. L'ipotesi più accreditata è che venga decisa una «fiducia tecnica». Il quadro, del resto, lo ha chiarito bene il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato. «La legge di Bilancio non si può approvare a crisi politica aperta», ha puntualizzato. «O si fa un nuovo governo e si va avanti oppure», ha detto, «se c'è un accordo tra le forze politiche, si approva il provvedimento al Senato velocemente. Non credo a un governo dimissionario che va a discutere degli emendamenti per 40 ore». Insomma, qualche modifica, che comporterebbe una terza lettura alla Camera, si potrebbe fare, ma solo con l'accordo di tutti i partiti. Un'intesa sulla quale non tira comunque una buona aria. Ieri i capigruppo di Forza Italia, Renato Brunetta e Paolo Romani, hanno giudicato l'ipotesi della fiducia tecnica «irrealizzabile». Comunque sia, l'approvazione della manovra sarà solo il primo passaggio. Ce ne sarà anche un secondo, sul quale la presenza di Padoan potrebbe rivelarsi importante: l'esame della Commissione europea. Che ieri ha assestato un primo colpo. L'Eurogruppo, al quale il ministro dell'Economia italiano non ha partecipato per presenziare al consiglio dei ministri convocato dopo il referendum, ha spiegato che valuterà le misure «necessarie» a rispettare i paletti europei chieste ai vari Paesi sotto esame entro marzo del prossimo anno. Per Roma ci sono differenze di stime che potrebbero portare a richieste di aggiustamento per qualche miliardo di euro. Padoan, proprio in virtù della prudenza usata nelle stime con le quali è stata costruita la legge di bilancio, è convinto che a marzo non ci sarà bisogno di una manovra-bis. La crescita, come sembrano indicate anche gli ultimi dati dell'Istat, potrebbe essere più solida del previsto e colmare il gap. Resta il fatto che, in qualche modo, la mancanza della voce dell'Italia a Bruxelles ieri si è notata soprattutto su un altro dossier. Il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, aveva chiesto ai Paesi in surplus commerciale, leggasi la Germania, di fare investimenti per almeno lo 0,5% del Pil, 50 miliardi di euro. Una politica espansiva, insomma, a favore di tutta la zona euro. La svolta fiscale è stata affondata dai falchi del rigore.
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