Abortire? Segreterie telefoniche, lunghe attese e una sola risposta

Venerdì 3 Marzo 2017
Abortire? Segreterie telefoniche, lunghe attese e una sola risposta
Telefono alla mano, l'odissea che una donna deve attraversare per portare a termine un'interruzione volontaria di gravidanza, non la si augura davvero a nessuno. Se non equivale al rifiuto esplicito dei medici obiettori, di certo l'iter che una donna deve compiere per portare avanti quello che, di fatto, è un diritto sancito dalla legge, è a dir poco snervante. Dei 6 ospedali padovani, soltanto quello di Schiavonia ha fornito qualche indicazione, e del tutto approssimativa, per capire come muoversi. Per toccare con mano, solo lontanamente, cosa significhi confrontarsi con il sistema sanitario locale su un ambito così delicato e complesso, è sufficiente contattare gli ospedali del territorio, presentandosi come una donna in stato di gravidanza già avanzato, e porre qualche semplice domanda.
Partendo dal centralino dell'azienda ospedaliera padovana, si viene rimandati ad un interno dal quale il personale risponde solo nelle ultime due ore del mattino, dalle 10 alle 12, nei primi cinque giorni feriali. Al di fuori di quest'arco temporale, si avvia in automatico una cantilena conosciuta da molti: L'interno non accetta messaggi dagli utenti, si prega di richiamare in orario d'ufficio. E così, ci si presenta al centralino dell'ospedale di Camposampiero: «Salve, sono una donna alla dodicesima settimana di gravidanza, e vorrei abortire, a chi posso rivolgermi?». Nonostante l'evidente stato di necessità, il personale di turno si limita a passare la segreteria alla quale, ahimè, non risponde nessuno. Ma non ci si arrende: il sistema ospedaliero deve essere in grado di dare risposte concrete, e immediate, in casi estremi come quello di una donna che ha la necessità di abortire. E che magari lavora e non vuole doversi rintanare in un bagno per non farsi sentire dai colleghi mentre telefona. E così si passa al numero dell'ospedale di Cittadella: «Le passiamo il reparto, signora, attenda». Ma, nemmeno in questo caso, dall'interno arriva una voce amica.
E via, che si scorre la lista dei poli ospedalieri della provincia, fino ad arrivare a quello di Monselice: «Questo è il servizio di continuità assistenziale dell'Ulss 6 Euganea. Si avvisa che la conversazione verrà registrata. Premere nove per parlare con un operatore». Ma una volta schiacciato il numero magico sulla tastiera del telefono, si riceve la comunicazione seguente: «L'interno digitato è inesistente», e cade la linea. A quel punto, lo sconforto prende anche chi si sta improvvisando in altra veste per dovere di cronaca, figuriamoci nel caso reale di una donna, magari giovane, magari straniera, e magari sola e in difficoltà economiche. È la volta della struttura ospedaliera di Schiavonia, non propriamente al centro della provincia padovana: dal centralino una signora gentile ci mette in contatto con un interno il quale, a sua volta, ci passa al reparto di ostetricia. E qui, finalmente, che un'altra dipendente, altrettanto gentile, ci illumina: «Signora, se è in possesso dell'esame del sangue che certifica il suo stato interessante, deve rivolgersi al consultorio famigliare. Può andare domattina, ma dovrà avere pazienza, perché ci saranno le signore che si sono già prenotate. A che settimana è?». «Sarei quasi alla dodicesima», si risponde. «Sarebbe quasi oltre il limite di legge, lo sa? Dovrà fare un'ecografia per verificare a che punto sia la sua gravidanza. Speriamo che domani riescano a visitarla, perché se dovesse essere molto pieno sarà difficile. Nel caso non abbia l'ecografia, venga comunque in segreteria a Schiavonia, entro le 14, mi raccomando. Poi si dovrà spostare a Monselice, e speriamo che riescano a fissarle l'intervento in tempo utile». A quel punto, si tenta il tutto per tutto, chiamando al centralino dell'ospedale di Piove di Sacco, per ricevere l'ennesima mortificazione: «Il numero chiamato è inesistente».

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