Truffò il parroco dei poveri Condannata a 3 anni e 6 mesi

Martedì 30 Maggio 2017
Truffò il parroco dei poveri Condannata a 3 anni e 6 mesi
Ha truffato un parroco, facendogli credere di essere un'ereditiera che stava per incassare un'importante somma di denaro, spillandogli tra il 1989 e il 2012 ben 300mila euro, con la promessa di destinare i soldi a beni e opere di beneficenza. Un reato che si configura come truffa aggravata dal danno patrimoniale e dall'essere stata commessa ai danni di un ministro del culto cattolico. E ieri mattina il giudice Rodolfo Piccin non solo ha accolto la richiesta del vpo Beatrice Toffolon (2 anni e 9 mesi), ma l'ha aumentata. Cristina Di Benedetto, 76 anni, milanese (era difesa dall'avvocato Roberta Scordo) è stata infatti condannata a 3 anni e sei mesi di reclusione, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e al risarcimento dei danni alla parte civile, da liquidare in separata sede. La donna, inoltre, è stata condannata al pagamento di una previsionale di 50mila euro immediatamente esecutiva.
Una vicenda, quella che ha interessato la piccola comunità di Prodolone, frazione di San Vito al Tagliamento, che lascia l'amaro in bocca, nonostante la condanna. Soprattutto perché a finire nella rete della truffatrice è stato il parroco di tutti, sempre pronto ad aiutare chi gli chiedeva una mano. La sua porta, in parrocchia, era sempre aperta senza distinzione alcuna. E quando questa donna che diceva di essere un'ereditiera si è presentata in parrocchia, don Guido Corelli ha fatto quello che faceva sempre: ha aperto le braccia e l'ha ascoltata. E la storia che la milanese gli ha raccontato era lacrimosa: Cristina Di Benedetto diceva di essere vedova, diceva che la mafia le aveva ucciso un figlio e non aveva mai smesso di minacciarla. Ovviamente non aveva soldi ed era costretta a vivere nei conventi. A presentarla a don Corelli erano state delle persone di fiducia, e quindi quando la donna aveva imbastito la storia dell'eredità, dicendo di aver lavorato a lungo per una certa contessa Malinveri, morta senza appunto eredi, le aveva creduto. «Raccontò che le aveva lasciato tutto - ha riferito don Corelli durante il processo -, ma che i beni erano sotto il controllo della Guardia di finanza e aveva bisogno di soldi per sbloccare i conti nelle banche svizzere». Il parroco non aveva avuto sentore alcuno della truffa, e aveva consegnato diverse tranche da 500 o 1.500 euro in una busta a un tassista di Salsomaggiore del quale la donna diceva di fidarsi. Altrimenti effettuava bonifici bancari e vaglia postali sui conti poi risultati intestati ad altre persone. Mille su mille, tanto da diventare una 300 mila euro. Don Corelli era stato persino contattato da un sedicente direttore di banca, e ancora da un avvocato e da un presunto bancario che voleva far credere di essere tedesco.
Ventitré lunghi anni durante i quali il parroco di Prodolone si era fidato ciecamente di questa donna che si diceva pronta a versare parte dell'eredità in beneficenza. Ma la matassa si era dipanata quando don Corelli chiese la restituzione dei soldi. Cristina Di Benedetto aveva organizzato allora un incontro in banca a Lugano, salvo poi chiamare per avvisare che i soldi non erano pronti. Nulla di fatto anche per l'incontro al Banco di Roma a Udine, al quale non era andata perchè, aveva detto, aveva avuto una disgrazia. A quel punto don Corelli aveva capito di essere stato truffato e aveva denunciato l'accaduto. Ieri la sentenza di condanna per la falsa ereditiera.
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