Troppi salassi, Regione in secca

Sabato 23 Luglio 2016 di Soldi a Roma per 150 milioni nel 2011 e 777 nel 2015. Concorso al taglio del debito salito a 1,2 miliardi
TRIESTE - Ormai la spesa libera, ossia non già vincolata da impegni pregressi o proibita dal patto di stabilità, è ridotta al lumicino di una manciata di punti percentuali rispetto al bilancio globale della Regione. Tutto questo, essenzialmente, per «l'impossibilità di un impiego di risorse in misura maggiore rispetto alla quantità di risorse che sono venute a mancare a causa degli accantonamenti statali», ossia la sequela impressionante di manovre nazionali che ha risucchiato dalle casse del Friuli Venezia Giulia un autentico fiume di denaro.
Ad affermarlo non sono oppositori dell'establishment politico, bensì la Sezione di controllo della Corte dei conti. Nelle fitte pieghe delle oltre 400 pagine che danno corpo al Giudizio di parificazione dei rendiconto regionale 2015, la Corte annota in parallelo il susseguirsi dei due grandi patti finanziari fra Trieste e Roma: quello del 2010 fra l'allora presidente della Regione Renzo Tondo e l'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti e quello sottoscritto due anni fa dall'attuale presidente Debora Serracchiani con l'attuale ministro Pier Carlo Padoan. In mezzo una teoria di norme di coordinamento della finanza pubblica, che nella versione in prosa comprensibile stanno a significare copiose mungiture delle casse regionali, beninteso divenute strutturali al punto da vanificare le virtuosità che i due patti del 2010 e del 2014 intendevano perseguire.
È chiaro che la Corte dei conti non faccia politica ma si occupi ad alto livello dell'affidabilità dei numeri. Eccoli dunque: «In termini monetari la differenza tra minore spesa praticabile e accantonamenti è di 62,862 milioni di euro nel 2011 - si legge nelle carte del Giudizio - nonché di 328,997 nel 2012, 420,701 nel 2013, 273,328 nel 2014 e di 420,671 nel 2015. Ma questo è soltanto l'inizio. Leggiamo il resto: «Il concorso alla riduzione dell'indebitamento netto ha di per sé comportato una compressione della spesa praticabile del 2,92% nel 2011, del 10,79% nel 2012, del 14,70% nel 2013, del 15,07% nel 2014 e del 17,55% nel 2015, con un incremento del 7,87% tra il 2011 e il 2012, un ulteriore incremento del 3,91% tra il 2012 e il 2013, un ulteriore incremento del 0,37% tra il 2013 e il 2014 e fra il 2014 e il 2015 una diminuzione del 0,59%», che tuttavia «diventa un aumento del 2,48% se si depura il denominatore dagli stanziamenti delle partite tecnico-contabili.
Poi c'è tutta la partita delle "penalità" finanziarie patite dalla Regione Fvg sul fronte del concorso alla riduzione del debito pubblico: «Una riduzione delle risorse disponibili del 4,03% nel 2011, del 12,39% nel 2012, del 13,75% nel 2013, del 18,62% nel 2014 e del 17,71% nel 2015, con un incremento del 13,68% tra il 2011 e il 2015», scrive sempre la Corte dei conti con l'evidenza vigorosa delle cifre oggettive.
In termini assoluti, il concorso del Fvg alla riduzione del debito netto è passato negli anni dai 212,862 milioni di euro del 2011 a 1,198 miliardi di euro dell'annata scorsa. Inoltre il concorso regionale in termini di saldo netto da finanziare (allo Stato) è passato dai 150 milioni di euro del 2011 a 777,701 del 2015.
Parlare di autonomia speciale in un tale perimetro di impoverimento della spesa praticabile può sembrare paradossale, posto che una così sensibile impossibilità di spesa limita giocoforza l'azione politica e l'attuazione di una visione strategica di qualsivoglia fattura. E a maggior ragione in un territorio - per l'appunto il Friuli Venezia Giulia - che impugnando la bandiera dell'autonomia si è accollato il Servizio sanitario (2,3 miliardi all'anno circa) e il trasporto pubblico locale, che da soli pesano per oltre mezzo bilancio sul groppo di Mamma Regione.
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