Dissidi tra vicini e piccoli dispetti quotidiani si sono trasformati in un processo per stalking condominiale. Gabriella Chiarot, 67 anni, maestra in pensione di Fiume Veneto che era stata anche ammonita dal Questore, l'ha affrontato senza mai mancare a un'udienza. La controparte, una famiglia di russi che riteneva di essere stata perseguitata, si era costituita parte civile e chiedeva un risarcimento di 80 mila euro per le vessazioni patite. Il giudice Iuri De Biasi ieri ha chiuso l'annosa vicenda con un'assoluzione: seppur nel dubbio, il fatto non sussiste. Non è stato dimostrato che i comportamenti della 67enne avessero procurato stati d'ansia tali da costringere le vittime a cambiare stile di vita.
Il caso era controverso. In prima battuta la Procura aveva chiesto l'archiviazione per la Chiarot, ritenendo che la vicenda fosse riconducibile a una tipica controversia tra vicini. La famiglia russa, rappresentata dall'avvocato Silvia Sanzogni, si era opposta facendo presente al giudice che a causa dei cattivi rapporti con la vicina, il figlio minorenne non andava più a giocare in giardino, perchè aveva paura della donna. Questo elemento aveva indotto il gip a rivalutare la vicenda. Nel caso le molestie costringano la vittima a cambiare stile di vita, infatti, scatta il reato di stalking.
Il caso è arrivato al processo con un'imputazione coatta. Sono sfilati testimoni, medici ed è stato depositato anche un filmato per provare che i comportamenti della 65enne erano molesti. La Chiarot abitava in una bifamiliare e con i vicini, dal 2008, condivideva garage, scale e giardino. «Anche dopo l'ammonimento del Questore - aveva rilevato il vpo Beatrice Toffolon chiedendo la condanna a 9 mesi di reclusione - aveva mantenuti una forma di controllo e dominio sui vicini». La parte civile aveva ricordato la candeggina rovesciata sul bucato steso ad asciugare o l'ammoniaca finita sui fiori esposti in terrazzo. Ma anche danneggiamenti, imbrattamenti, escrementi di animali buttati sulla porta dei vicini o la volta in cui li aveva chiamati «zingari». Una situazione che condizionava la vita della famiglia russa. Ma che allo stesso tempo era diventata - come ha rimarcato l'avvocato difensore Fabio Gasparini - «un calvario per la signora Chiarot». Era stata bersagliata di denunce, tutte archiviate, e nel 2013 era andata via di casa. «Torna a casa una, due volte al giorno - ha detto il suo legale - solo per dar da mangiare alle galline». Ha parlato di uno stato d'ansia percepito in modo distorto dai vicini. «L'unica ad andare veramente in cura e ad assumere farmaci contro l'ansia - ha ricordato al giudice - è stata la Chiarot».
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Il caso era controverso. In prima battuta la Procura aveva chiesto l'archiviazione per la Chiarot, ritenendo che la vicenda fosse riconducibile a una tipica controversia tra vicini. La famiglia russa, rappresentata dall'avvocato Silvia Sanzogni, si era opposta facendo presente al giudice che a causa dei cattivi rapporti con la vicina, il figlio minorenne non andava più a giocare in giardino, perchè aveva paura della donna. Questo elemento aveva indotto il gip a rivalutare la vicenda. Nel caso le molestie costringano la vittima a cambiare stile di vita, infatti, scatta il reato di stalking.
Il caso è arrivato al processo con un'imputazione coatta. Sono sfilati testimoni, medici ed è stato depositato anche un filmato per provare che i comportamenti della 65enne erano molesti. La Chiarot abitava in una bifamiliare e con i vicini, dal 2008, condivideva garage, scale e giardino. «Anche dopo l'ammonimento del Questore - aveva rilevato il vpo Beatrice Toffolon chiedendo la condanna a 9 mesi di reclusione - aveva mantenuti una forma di controllo e dominio sui vicini». La parte civile aveva ricordato la candeggina rovesciata sul bucato steso ad asciugare o l'ammoniaca finita sui fiori esposti in terrazzo. Ma anche danneggiamenti, imbrattamenti, escrementi di animali buttati sulla porta dei vicini o la volta in cui li aveva chiamati «zingari». Una situazione che condizionava la vita della famiglia russa. Ma che allo stesso tempo era diventata - come ha rimarcato l'avvocato difensore Fabio Gasparini - «un calvario per la signora Chiarot». Era stata bersagliata di denunce, tutte archiviate, e nel 2013 era andata via di casa. «Torna a casa una, due volte al giorno - ha detto il suo legale - solo per dar da mangiare alle galline». Ha parlato di uno stato d'ansia percepito in modo distorto dai vicini. «L'unica ad andare veramente in cura e ad assumere farmaci contro l'ansia - ha ricordato al giudice - è stata la Chiarot».
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