Il Flauto magico, capolavoro che parla al profondo dell'anima

Domenica 8 Gennaio 2017
Il Flauto magico, capolavoro che parla al profondo dell'anima
Quando nel 1796 Goethe scrive al Maestro di cappella Paul Wranizky, anch'egli massone, proponendogli di scrivere un libretto che stia alla pari con la musica del Flauto magico di Mozart, ha già composto in realtà buona parte di un testo in cui si palesano anticipazioni del secondo Faust e assonanze con il Wilhelm Meister, oltre che analogie con il futuro Ring wagneriano.
Affascinato dal Singspiel mozartiano, il poeta vorrebbe vedere rappresentata la sua Zauberflöte al Teatro Imperiale, ma Wranizky rifiuta l'invito e Goethe abbandona momentaneamente il suo sogno.
Due anni più tardi Iffland gli propone di portare in scena il dramma con la musica di Anselm Weber, ma Schiller mette in guardia Goethe sulla necessità di trovare un compositore all'altezza del compito. Nessuno dei musicisti interpellati accetta di mettersi in gioco e Die Zauberflöte goethiano, ideale prosecuzione de Il Flauto magico, non vedrà mai la sua veste compiuta all'interno di un teatro musicale.
Goethe stima il libretto di Schikaneder e anche se gli appare pieno di inverosimiglianze e di scherzi, che non tutti sanno intendere e apprezzare, riconosce comunque all'autore l'arte di operare per contrasti e produrre grossi effetti teatrali. Egli stesso fa tesoro delle sue innovazioni linguistiche e ne imita la genialità rievocando intrecci, parole e simbologie.
Mentre la Zauberflöte originale chiude però nella luce, proclamando la certezza di una verità assoluta, quella di Goethe lascia trapelare un fosco presagio nelle parole sconsolate del coro alla partenza di Sarastro: La verità non sarà più diffusa sulla terra/ nella sua trasparente bellezza./ Il tuo alto cammino è terminato/ e intanto ci circonda la notte fonda.
Forse Goethe allude alla notte del Terrore e non è escluso che su questa più ombrosa visione influisca anche il dolore personale legato alla morte del primo figlio avuto da Christiane, evocato dalla prigionia dentro un sarcofago d'oro inflitta nella sua Zauberflöte al bambino di Tamino e Pamina. Ma il bimbo che vive immerso nel conflitto tra il Bene e il Male dileguerà come un Genius: il genio intoccabile dell'Arte e della Bellezza, in cui l'umanità ripone ogni sua speranza.
Goethe intuisce dunque tutte le potenzialità inespresse ancora racchiuse in un plot che affonda le radici nella tradizione dello Zauberstück, teatro fantastico popolare austriaco, e nella fioritura di fiabe, favole e leggende misteriosofiche, su cui hanno facile presa le utopie massoniche.
Componente, quest'ultima, che nel libretto del Singspiel mozartiano è valorizzata da Karl Ludwig Giesecke, attore della compagnia di Schikaneder, a cui viene affidato l'incarico di aggiustare i dialoghi dell'opera, composta già quasi per metà, dopo che la troupe di Marinelli, rivale di quella di Schikaneder, rappresenta nel 1791 al Leopoldstheater di Vienna Kaspar der Fagottist di Joachim Perinet, su musica di Wenzel Müller. Le convergenze con la trama della Zauberflöte sono tali che per fuggire all'accusa di plagio Mozart e Schikaneder mutano radicalmente rotta: la Regina, fino ad allora personaggio positivo, diventa entità malvagia, mentre Sarastro, da figura negativa, si trasforma in forza del Bene. Giesecke rielabora il testo ispirandosi al protagonista del romanzo Séthos di Terrasson e all'Oberon di Wieland, innestando elementi massonici all'interno della fiaba fantastica.
La regia che Valentina Carrasco propone per questo nuovo allestimento valorizza proprio la componente misteriosofica, riservando un ruolo chiave alle divinità egiziane di Isis, simbolo della notte e della femminilità, e Osiris, simbolo del giorno e della mascolinità. Riprendendo una intuizione nietzscheana, i due dei appaiono come bambini e lo svolgimento dell'intera vicenda è il frutto del loro gioco, talora assurdo e irrazionale.
Solo la musica può portare riconciliazione all'interno di una trama su cui si proiettano dinamiche familiari conflittuali, come quella tra Pamina e la Regina della Notte, radicate nella psicologia del profondo.
Come osserva Adorno, non vi è altro luogo in cui amore e verità si intreccino così profondamente come nell'opera più umana di Mozart. La liberazione degli uomini dall'incantesimo della madre e la loro conciliazione con il fondamento naturale nella profonda ambiguità dell'amore: questo è il suo oggetto; il testo onirico, che il XVIII secolo non a caso detestava, andò a recuperare questo oggetto come abbozzo del mondo arcaico e la musica lo suggellò con figure storiche. Capire il sogno significa interpretarlo; è facile pensare che la prima opera borghese, o l'ultima del rococò, diventi intelligibile per la prima volta in un'epoca in cui la psicanalisi si imbatte nei suoi segreti.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci