«Siamo vivi per miracolo. Qualcuno ci ha spinti fuori mentre il tetto crollava

Domenica 28 Agosto 2016
«Siamo vivi per miracolo. Qualcuno ci ha spinti fuori mentre il tetto crollava e i tubi scoppiavano». Il publico ministero Roberto D'Angelo parla lentamente e a voce bassa. «Faccio fatica a riprendermi da quello che mi è accaduto», dice il magistrato. Lui, i suoi tre figli e la sua compagna, l'avvocato Federica Turlon, sono salvi miracolosamente.
La notte del 24 agosto il pubblico ministero, di origine romana, e la sua famiglia erano nella casa costruita dal bisnonno a Amatrice, la zona più colpita dal terremoto. «Ci sono stati tanti morti perché molti romani erano in vacanza. Domenica al supermercato c'era addirittura la coda. Io vado ad Amatrice cinque giorni all'anno in occasione delle feste di fine agosto».
Adesso il magistrato, la sua compagna e i tre figli sono a Padova. A fatica, ma sono riusciti a partire già mercoledì. Roberto D'Angelo mantiene la sua freddezza di pubblico ministero ma nel racconto fa capire la grande tragedia. «È impossibile descrivere quello che abbiamo vissuto. Stavamo dormendo ed è arrivato il finimondo. Io mi sono trovato ai piedi della scala del soppalco. Qualcuno è riuscito a spingerci tutti in strada mentre la casa iniziava a crollare. Ho visto il tetto che veniva giù mentre uscivo dalla casa. No, è impossibile descrivere il paesaggio del centro del paese con il buio della notte. Non c'era una luce e il paese era irriconoscibile. Tutto era distrutto».
Alcuni colleghi della Procura di Padova sapevano che D'Angelo era in vacanza con i figli e la compagna a Amatrice. Lo hanno cercato subito mercoledì mattina. Il cellulare squillava, ma lui non rispondeva. «Il mio cellulare è rimasto sotto le macerie e non potevo comunicare con nessuno», dice il pubblico ministero.
Salvi, in strada col pigiama alle 3,36 del mattino. «C'era di tutto e non si capiva niente. Un signore era riuscito ad uscire anche lui in strada ed in casa era rimasta la moglie ammalata che si spostava in sedia a rotelle. Insomma, era il finimondo. Io cercavo mia sorella e i suoi tre figli, che erano in una casa vicino alla mia. Miracolosamente erano salvi anche loro».
Il magistrato era a Amatrice con una monovolume. "Sono riuscito a spingere la macchina in un campo e in nove ci siamo rifugiati dentro. La monovolume saltava per le scosse di assestamento. Avevamo paura anche in macchina. Dentro eravamo molto stretti e la macchina sembrava volesse capovolgersi durante le scosse». Tre adulti e sei bambini in una monovolume che le scosse di terremoto volevano rovesciare. «Faremo fatica noi adulti a dimenticare quelle ore, ma i bambini questa tragedia se la porteranno dentro per tutta la vita», dice il pubblico ministero D'Angelo.
L'alba della tragedia del 24 agosto il magistrato e i suoi familiari l'hanno vista sorgere pigiati dentro un auto che vacillava ad ogni scossa di assestamento. «Di giorno la tragedia era ancor più evidente. Mia sorella è riuscita a telefonare a suo marito che da Roma è partito per Amatrice. Io volevo ritornare a Padova il più presto possibile».
Con le luci del giorno e l'arrivo dei soccorsi la tragedia ha iniziato a manifestarsi in tutta la sua pienezza. «Certo, eravamo in pigiama come tutte le persone che erano riuscite ad uscire in strada durante la notte. Quando sono arrivati i soccorsi abbiamo avuto un po' di conforto. Un giovane è riuscito ad arrampicarsi in casa mia e mi ha passato alcune valigie. Non siamo riusciti a portare via tutto, ma ci siamo vestiti e ho recuperato il portafogli», racconta il magistrato.
Mentre la notizia dell'ultima tragedia dell'Appennino faceva il giro del mondo, Roberto D'Angelo ha trovato la forza di venire via. «Quando è arrivato mio cognato da Roma a prendere mia sorella e i bambini abbiamo deciso di partire. Così, come eravamo. È stato un inferno uscire dalla zona del terremoto. Dovevamo spostare le macerie con le mani per passare con le auto».

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci