Spari e bombe nel bar dei diplomatici: «Uccisi due italiani»

Sabato 2 Luglio 2016
Spari e bombe nel bar dei diplomatici: «Uccisi due italiani»
Venti persone, tra cui probabilmente alcuni italiani, sono state prese in ostaggio alla Holey Artisan Bakery, un ristorante di Dacca. Il ristorante si trova nel quartiere di Gulshan, adiacente all'enclave diplomatica e frequentato perlopiù da turisti occidentali e dal personale delle ambasciate. Il proprietario del locale, che è riuscito a sfuggire agli aggressori, ha raccontato che sei o otto uomini armati hanno fatto irruzione uccidendo uno dei dipendenti del locale di nazionalità argentina. Un altro dipendente, un panettiere italiano, è invece riuscito a scappare. Diverse ore dopo l'inizio dell'assalto, non risultava ancora che fosse stata inoltrata alcuna richiesta alla polizia o alle autorità da parte degli uomini barricati all'interno del ristorante, né c'era stato alcun contatto con l'esterno. È arrivata alla polizia e alla stampa una rivendicazione da parte dell'Isis («abbiamo uccise 20 persone di varie nazionalità) ma nella notte la situazione appariva ancora piuttosto fluida. Secondo fonti non confermate dalla Farnesina ci sarebbero due italiani morti, non si sa se tra gli ostaggi o tra le vittime di un'esplosione, sempre nella stessa zona, che ha ucciso due poliziotti e il loro autista.
Si tratta di un'azione di tipo militare, secondo alcune fonti, ben coordinata e ben gestita e dall'alto contenuto simbolico visto che è stata compiuta l'ultimo venerdì del Ramadan: al momento dell'Ifthar, la rottura del digiuno, quando la gente si rilassa e si ritrova in compagnia di amici e parenti per festeggiare. Gli esperti occidentali non credono a un'azione dell'Isis ma parlano piuttosto di Al Qaida dimenticando che polizia e intelligence indiana hanno arrestato nei mesi scorsi un certo numero di individui che cercava di passare in Bangladesh per arruolarsi sotto le bandiere di Daesh, e dimenticando soprattutto che Daesh, Isis o Al Qaida sono soltanto sigle. Sigle che raccolgono al loro interno una realtà variegata e complessa.
Di certo l'attentato segna un punto di svolta nell'escalation di violenza integralista di cui è ormai da tempo preda il paese: non erano mai stati presi di mira gli occidentali. In mattinata in compenso era stato ucciso un sacerdote induista e il mese scorso un sarto, sempre induista, sulla porta del suo negozio. Lo scorso ottobre sono stati uccisi un cooperante italiano e uno giapponese, due mesi fa avevano perso la vita un professore universitario coinvolto in attività culturali considerate anti-islamiche e Xulhaz Mannan, un attivista per i diritti dei gay morto assieme al suo compagno, mentre la lista di scrittori e blogger uccisi perché considerati blasfemi si allunga ormai di giorno in giorno. Da anni il Bangladesh è infatti in preda a una deriva integralista sempre più diffusa, nonostante (o proprio a causa di queste, sostengono alcuni) i processi e le condanne a morte comminate ad appartenenti alla Jamaat-i-Islami, il maggior partito islamico del paese, per i crimini di guerra compiuti durante il conflitto del 1971 che trasformò l'East Pakistan nella “patria dei bengali”. E il governo, principalmente per non danneggiare i propri interessi economici, è in una fase di totale negazione del problema: la premier Sheikh Hasina sostiene difatti che a uccidere blogger, professori e presunti blasfemi non sono jihadi e integralisti ma oppositori politici.

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