Sette anni dopo l'operazione "Reset" che smascherò ad Arzignano e

Venerdì 14 Ottobre 2016
Sette anni dopo l'operazione "Reset" che smascherò ad Arzignano e a Vicenza il malaffare all'interno dell'Agenzia delle Entrate e della guardia di Finanza, arriva la stangata contabile per uno dei funzionari coinvolti. Vito Maulucci, 77 anni, abitante nel capoluogo berico, all'epoca dei fatti direttore dell'ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Arzignano dovrà risarcire l'amministrazione dello Stato con una somma stratosferica, 663mila 821 euro, comprensivi della rivalutazione, ma a cui dovrà aggiungere gli interessi che decorreranno fino al momento in cui salderà l'oneroso debito. La decisione è stata presa dalla sezione giurisdizionale della Corte dei Conti di Venezia, presiduta da Guido Carlino, giudice relatore Giuseppina Mignemi.
Maulucci, che era assistito dall'avvocato Marco Antonio Dal Ben, si era visto presentare un conto ancor più salato, 843mila euro. Ma durante l'udienza il pubblico ministero Giancarlo Di Maio ha ridotto l'importo, calcolando 360mila euro per danno all'immagine e 303mila euro per danno da disservizio. Il funzionario era stato accusato di aver «costituito, organizzato e partecipato ad un'associazione per delinquere avente come scopo quello di consumare più delitti di concussione, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio», oltre alla rivelazione di segreti d'ufficio.
L'inchiesta contabile è cominciata nel 2012, alla luce dei risultati di quella penale. Maulucci era accusato di aver partecipato a una vera e propria organizzazione che, avvalendosi della complicità di consulenti fiscali, apriva verifiche nelle aziende della concia di Arzignano, per poi chiuderle dietro il pagamento di tangenti. Ovviamente, le contestazione di omesso pagamento dell'Iva o altre irregolarità non avevano corso.
Il funzionario aveva patteggiato la pena di due anni e otto mesi di reclusione. Secondo la Procura contabile l'esistenza dei reati era provata e l'imputato «dal 2001 fino al gennaio 2006 avrebbe incassato tangenti per circa 30mila euro l'anno, e quindi il totale delle somme illecitamente percepite ammonterebbe a 180mila euro». Per questo il calcolo del danno d'immagine è stato indicato in 360mila euro, esattamente il doppio delle tangenti incassate. L'accusato ha sostenuto che il patteggiamento non è sentenza di condanna e che le contestazioni erano prescritte. Secondo i giudici, invece, il patteggiamento «può considerarsi come tacita ammissione di colpevolezza». E non c'era prescrizione. Nel merito, i giudici sostengono che «le condotte addebitate al Maulucci sono provate oltre ogni ragionevole dubbio». Di qui la condanna al maxi-risarcimento.
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