Salta il referendum e poi si fanno le riforme? «Bugia», replica secco

Sabato 8 Ottobre 2016
Salta il referendum e poi si fanno le riforme? «Bugia», replica secco Maria Elena Boschi a un Matteo ostile, il Salvini il capo della Lega. E' uno degli argomenti adesso più in voga dalle parti del No, quello di spiegare che si boccia il referendum e poi si fanno delle belle riforme («se il popolo dice No, come si fa poi a dire che vuoi le riforme?», ha ricordato più volte Renzi). Preceduto da un tatticissimo «ci vado, non ci vado», alla fine il faccia a faccia Boschi-Salvini c'è stato su La7. «Io scappo? Cambio agenda e ci sarò», aveva fatto sapere la ministra dopo che il Matteo leghista aveva punzecchiato su twitter alludendo a fughe ministeriali. E subito in studio son volati gli stracci, con Salvini che la butta sul personale, tirando in ballo la vicenda di banca Etruria con annesso papà Boschi. «Nessun favoritismo, mio padre sta pagando come gli altri, e comunque che c'entra questo con il referendum?», ribatte Maria Elena. E quando Salvini la chiama «signorina», la ministra replica: «Allora lui è giovanotto». Su una cosa si ritrovano d'accordo: il Milan. Ma quasi per sbaglio: «Ci diranno che se vince il Sì il Milan vincerà lo scudetto», fa Salvini sempre polemico. «Ecco, su questo potremmo trovarci d'accordo, siamo milanisti», prova la Boschi. Con il capo leghista che però non ce la fa a trattenersi dall'indicare il vero punto che tiene insieme il variegato fronte dei refrattari: «E' una buona occasione per mandare a casa Renzi e la signorina Boschi». L'ultima “salvinata” è una vera e propria dissociazione dal fronte del No sul tema del quesito sulla scheda elettorale: «Io il ricorso non l'avrei fatto, bado alla sostanza». Quello stesso ricorso al Tar che sta diventando una vera e propria barzelletta, con i fautori del Si che hanno reso pubblico il fatto che gli avvocati presentatori si presentarono in Cassazione agitando proprio quel testo senza che avesso da ridire, «hanno fatto un ricorso contro se stessi», la sintesi di Peppino Calderisi che di referendum si intende avendone promossi decine quando era radicale. Ora i riflettori sono puntati sulla direzione del Pd di lunedì, dove è annunciata «una qualche apertura» da parte del segretario sulla riforma elettorale come chiede la minoranza, ma le attese non sono per una riunione che soddisfi tutti. «Ci aspettiamo un'iniziativa forte del segretario», ha ribadito ancora ieri Gianni Cuperlo, ma anche lui non è sembrato crederci molto.
Renzi ai suoi ha anticipato che intende mettere la minoranza «di fronte alle proprie responsabilità», a parole e nelle cose qualche apertura la farà, ma i ponti sembrano ormai bruciati. La vigilia non è di quelle solite da resa dei conti, ma neanche da accordone. Più semplicemente, Renzi ha ormai preso atto che la minoranza, spinta da D'Alema e in parte anche da Bersani, ha investito tutte le sue carte sulla vittoria del No, senza piani B e senza vie d'uscita, sicché a questo punto è veramente «tempo perso» stare a inseguire voti che non arriveranno quando invece il serbatoio vero da cui attingere sta a destra e al centro. «Io non sto a inseguire quelli che sono pregiudizialmente contrari, i voti di sinistra li ho già, ora guardo a destra», va ripetendo il premier segretario (e i sondaggi confermao che l'85-90% dell'elettorato Pd è per il Sì). E' sorta nel frattempo una nuova sinistra dentro il Pd, manifestatasi nella foto di Milano alla Camera del Lavoro con Fassino, Orlando, Martina, Finocchiaro, Berlinguer a favore del Sì senza se e senza ma, una sinistra interna critica, ma interna.
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