Padoan: produttività in calo È il vero macigno dell'Italia

Giovedì 6 Ottobre 2016
«I numeri che produciamo sono basati sulla valutazione molto attenta degli impatti. Non sono quindi basati né su fantasie né su aspettative irrealizzabili, sono aspettative realizzabili». Così Pier Carlo Padoan, chiudendo il convegno “Obbligati a crescere” organizzato dal Messaggero e coordinato dal suo direttore Virman Cusenza, ribadisce la linea del ministero dell'Economia sulla prossima legge di bilancio. Il riferimento è al confronto a distanza tra ministero dell'Economia da una parte, Ufficio parlamentare di bilancio e Banca d'Italia dall'altro, a proposito della possibile spinta che le misure del governo potrebbero dare al Pil 2017. Ma naturalmente il tema della crescita che manca in Italia non si esaurisce con il disaccordo su uno 0,4% di prodotto. Tanto più che nell'analisi del vice direttore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, intervenuto poco prima di Padoan, i punti di contatto con quelli del ministro sono più di uno. Ad esempio, il ruolo degli investimenti. Se Padoan ricorda - proprio a proposito dell'imminente manovra - che i provvedimenti «saranno concentrati per sostenere gli investimenti privati, chiedendomi e chiedendo agli investitori qual è la misura che funziona meglio di altre» e che sarà dato «uno spazio crescente agli investimenti pubblici» Panetta riconosce che «il programma di riforme» messo in atto dal governo negli ultimi anni «sta contribuendo ad aggredire gli ostacoli strutturali all'investimento specifici del nostro Paese».
Il problema dell'economia italiana, secondo il vicedirettore di Via Nazionale, è la «debolezza dell'accumulazione di capitale» aumentare gli investimenti serve non solo a «favorire la ripresa congiunturale» ma anche a «innalzare quella potenziale». In sintesi «l'investimento è l'anello di congiunzione fra la domanda effettiva, nel momento nel quale viene effettuato, e la capacità di offerta, nel corso degli anni». Ci vuole però «uno sforzo condiviso dell'intera colletività nazionale». Da una parte c'è un rischio, quello di cadere nella «trappola della bassa crescita», dall'altra l'opportunità di intervenire con una politica «orientata allo sviluppo» e quindi in particolare «alleggerendo ulteriormente il peso delle imposte sui fattori della produzione». Ovvero sulle imprese.
Preoccupazioni del tutto simili affiorano dalle parole del ministro, soprattutto quando attingendo alla propria esperienza personale spiega che «l'indicatore che preoccupa di più quando chiedo all'estero dell'Italia non è il debito né le sofferenze, è la produttività: ha iniziato a scendere, ancora scende e non ha ancora trovato il suo punto di inversione». Questa «è la grande sfida della politica economica» che il governo «sta prendendo sul serio». Un accenno, anche se Padoan non lo dice esplicitamente, all'intenzione di potenziare la detassazione delle quote di retribuzione legate agli aumenti di produttività e ad altri provvedimenti come il super-ammortamento per le imprese.
L'altra parola che aleggia nel dibattito è «fiducia». Quella verso l'Italia che è dietro la scelta di investire, come ricorda Panetta, ma anche quella che già si è manifestata nelle scorse ore, sul mercato dei titoli di Stato. Se il Tesoro ha potuto emettere 5 miliardi di Btp a 50 anni, ma con una richiesta pari a a quasi quattro volte tanto, vuol dire che un po' di fiducia c'è «nel breve e nel lungo periodo» argomenta il ministro.
Punti di contatto tra Padoan e Panetta anche nell'analisi sul sistema bancario. «Alla mancata crescita sono imputabili gli squilibri che oggi gravano sul settore bancario - spiega il componente del Direttorio di Via Nazionale aggiungendo che senza la recessione «il rapporto tra le sofferenze bancarie e lo stock di prestiti alle società non finanziarie, al netto degli accantonamenti, invece di raggiungere l'8,4%, il valore massimo toccato l'anno scorso e oggi in calo, sarebbe rimasto pressoché inalterato sui livelli precedenti la crisi, intorno al 2%».
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